MONTANTE, CONFINDUSTRIA E
LA FINE (IN)NATURALE E MORTALE DELLA LUNGA CORSA ALLA DELEGITTIMAZIONE
17 FEBBRAIO 2015
Ho sempre creduto nel dubbio. Lo
considero il principale pregio di un giornalista. Solo
il dubbio, infatti, consente di scavare nelle verità che, a piene mani,
vengono scaraventate addosso alla nostra categoria.
Le verità della magistratura, la
verità dei partiti, la verità della politica, la verità dei pentiti, quella dei
pentiti che si pentono di essersi pentiti e poi magari si ripentono, la verità
degli imprenditori che si abbeverano alla mangiatoia pubblica e sono poi i
primi a chiedere “più mercato”, la verità dei giornalisti schierati oppure
quella della quota parte di classe dirigente marcia che governa questo Paese.
Non ho
mai creduto alle verità come appaiono, quelle che Giuseppe
Lombardo, pm della Dda di Reggio Calabria chiama le
“mezze verità”. Quelle pronte da “bere” come la Milano dei bei (!) tempi
che furono. Non crediate sia facile non credere alle “mezze verità”: si pagano
prezzi altissimi.
Il legittimo dubbio ha fatto
ritenere ad una parte della stampa che il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante sia o possa essere effettivamente quel
losco figuro che viene (o verrebbe) dipinto da alcuni pentiti di Cosa nostra gestiti,
non senza colpi di scena in fase di evoluzione, tra la Procura di Caltanissetta
e quella di Catania.
Nulla quaestio. Sarà la
magistratura a tentare di provare cosa c’è di vero, cosa c’è di falso, ma
soprattutto cosa c’è in quel “mondo di sopra” che a Roma stanno ancora
aspettando di scoprire, mentre in Sicilia, così come in Calabria, è in piena
evoluzione da decenni, come del resto sa chi, come l’attuale procuratore
generale di Palermo Roberto Scarpinato, quasi 20 anni fa provò a
dimostrare, senza successo, la realtà dei sistemi criminali che corrono ben
oltre un criminale mafioso. Toccherà, eventualmente, ad un aula di Tribunale
giudicare fino a eventuale terzo grado.
Il dubbio, amico di penna (ormai
si può dire di mouse e pc) mi spinge a continuare a scrivere del “caso
Montante” proprio ora che toccherà alla magistratura spegnere il ventilatore
che, dopo essersi acceso mediaticamente, da qualche giorno sembra in “pausa”.
Come? Chiudendo presto le indagini (a meno che una fila di batteria non moltiplichi
i 180 giorni a disposizione di ciascuno per raccontare la propria verità e
allora la graticola girerà a lungo con buona pace della Giustizia).
Sono fatto così. Quando gli altri
parlano taccio. Quando gli altri tacciono, scrivo. Non mi interessa
prendere parte a contese sulla pelle dell’antimafia (ho già scritto e detto che
non sta a me difendere Montante) ma provare a capire fino in fondo
esercitando e sublimando l’arte del dubbio (si veda anche link a fondo pagina
con precedente articolo) .
E così il dubbio mi porta a
scavare in una parola: delegittimazione, che declino in alcune delle varianti
possibili in quel della provincia nissena.
Forse abbiamo perso di vista un
fatto apparentemente secondario ma invece di primaria importanza. Questa
vicenda nasce nella culla di Cosa nostra, quel “vallone” nisseno dal quale
nobiluomini (spero si arguisca l’ironia) quali Giuseppe Genco
Russo e Calogero Vizzini dettavano legge alla Sicilia intera e
apparecchiavano la tavola (rectius: le battigie) agli alleati “ammerrecani”.
In altre parole, come si direbbe
nella mia amata Roma, «quando voi eravate ancora sugli alberi, noi eravamo già
froci», che tradotto vuol dire: a Cosa nostra nissena nessuno può insegnare
nulla.
E nessuno, dunque, può
dimenticare che nel 2007, subito dopo l’approvazione del codice etico, la sede
di Confindustria di Caltanissetta (proprio laddove nacque la rivolta contro i
“prenditori”, in casa propria, nella classe industriale siciliana) fu rivoltata
come un calzino per leggere (e fotocopiare e duplicare?) atti e documenti anche
riservati. Guarda tu la vita, proprio quando, nei tempi in cui la rivolta
suonava, alcuni notabili dell’associazionismo e della vita economica nissena
erano dediti a profondissime e minuziose attività di dossieraggio ad uso di
capi mafia dal colletto bianco e dall’anima nera.
Non ricordavo a memoria – per
riportarlo alla mente ho dovuto ricomporre le tessere di un puzzle che ho
ricostruito anche grazie a quella potenziale fonte che è Internet – che
in questi anni, ogni qual volta c’è stato un passo avanti decisivo della genia
industriale e imprenditoriale che si è mossa all’unisono (sarebbero dunque
tutti potenziale amici di presunti amici dei mafiosi? La domanda a me pare
legittima) dietro a Lo Bello eMontante e al loro grido di
rivolta contro l’omertà mafiosa (il primo nemico di Cosa nostra è la parola, dopo vengono, di
conseguenza, gli atti), c’è stata una reazione uguale e contraria a
quella alla quale pare di assistere in questi giorni. Pare: come vedete dubito.
Un’escalation che non poteva
portare (all’epoca) a omicidi per un riflesso condizionato e per una ragione
pratica. Il riflesso condizionato risiede nel fatto che ai pupi di Cosa nostra
manovrati dalle menti raffinate sembrava impossibile ricevere un “no” a richieste
che fino a quel momento non potevano essere rifiutate (pizzo e protezione) e
che addirittura sfociava in denunce in sede penale degli affamatori aguzzini.
Che succede? si saranno chiesti pupi e pupari.
La ragione pratica è che uccidere
chi si opponeva a Cosa nostra tra gli imprenditori era difficile: le scorte,
che talvolta sono messe a protezione degli inutili, questa volta erano messe a
disposizione di qualcuno utile alla causa di civiltà sociale ed economica.
Bisognava fare, dunque, troppo
rumore. Meglio lanciare la scia lunghissima e distillata della
delegittimazione.
Volete due-esempi-due
dell’escalation diffamatoria e delegittimante di questi anni? Quando
l’imprenditore che opera nel settore dell’ambiente Giuseppe
Catanzaro, attuale numero 2 di Confindustria Sicilia, denunciò ad
Agrigento i suoi carnefici, partì la crociata non contro – si badi bene – le
sue battaglie ma contro il suo passato e le presunte ombre che lo avvolgevano.
Quella scia non si è ancora spenta.
Lo schema – mutatis
mutandis – si ripropose con Ivanhoe Lo Bello, attuale
vicepresidente nazionale di Confindustria, che nel 2010, stufo della cappa di
omertà e ipocrisia che gravava (e grava oggi più di ieri) su Catania,
scoperchiò anche con un’intervista al Corriere della Sera il maleodorante
pentolone delle aree industriali, del movimento terra, dei trasporti e
dell’edilizia. A Palermo ci furono, in manifestazioni pubbliche, slogan, cori e
striscioni contro colui il quale voleva contribuire a cambiare, con i fatti, le
cose. E i fatti (non le chiacchiere) dicono che fu Lo Bello a mettere
nero su bianco una frase sconcertate (non per chi, come me, segue l’evoluzione
delle mafie) nella nota riservata di Confindustria per il vertice nazionale
della sicurezza svolto a Caltanissetta il 21 ottobre 2013 finita nelle mani del
ministro dell’Interno Angelino Alfano. Con riferimento ad un settore nel
quale oggi sono ancora in piena evoluzione le indagini della magistratura, (non
lo cito per non dare vantaggi a chi deve sentire invece il fiato sul collo
della Giustizia) Lo Bello scrisse testualmente
e Montante controfirmò, che «il territorio della provincia di
Catania ha un ruolo ancora più rilevante, in quanto Cosa nostra, ‘ndrangheta e
camorra lavorano congiuntamente e regolano il mercato a livello nazionale».
Precedevano e seguivano nomi e cognomi. Quella scia non si è ancora spenta.
Credo che la delegittimazione (l’ho scritto
mille volte su questo umile e umido blog con riferimento a tante altre vicende
inquietanti) sia la culla della morte. Più della morte fisica la
delegittimazione è in grado di uccidere, perché colpisce il luogo di una vita: la purezza dell’anima.
Ma attenzione: quando la
delegittimazione fallisce dopo aver usato, nella sua escalation, armi estreme e
radicali, quando non riesce nel proprio intento e quando la corsa non si può
arrestare, non resta che la morte. Quella fisica. Quella che uccide un uomo per
educare un popolo come, in Sicilia e nel Sud, è stato troppo spesso educato.
Non sono solo io a pensarlo. A
meno che nella genia dei soggetti pericolosi dell’antimafia parolaia non
rientri anche il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, fu proprio
lui, Salvatore Cardinale, il 24 gennaio 2015, in apertura di anno
giudiziario, ad affermare: «…in tal senso, da parte degli investigatori, sono
stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici confindustriali
siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo subdolo della
diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna di
delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti dell’antimafia
operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che potrebbe
tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi i due
“avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere contro
il Presidente dell’Irsap(Alfonso Cicero, ndr)».
Arrestate Montante, indagate Lo
Bello, braccate Cicero, crocifiggete chi si è schierato per tornaconto con
loro o fate l’esatto contrario, smontate le accuse e riabilitate un corso ma,
vi prego, fatelo presto, e mi rivolgo alla magistratura, perché, senza
Giustizia rapida, ci scapperà il morto. Il primo nome è già sulla lista.
Per educare un popolo.
IL GRANDE
INGANNO DELL'ANTIMAFIA SICILIANA: COSÌ L'EROE
DELLA LEGALITÀ METTE LE MANI SULL'EXPO
Montante, indagato assieme all'ex
governatore Lombardo, condannato, sono i creatori di Caltanissetta "zona
franca" anti-pizzo. Tra collusioni e fiumi di soldi, tutti i paradossi di
un'impostura politica dietro la dittatura degli affari
dai nostri inviati ATTILIO BOLZONI E EMANUELE LAURIA
CALTANISSETTA - Lo sapevate
che esiste una "zona franca della legalità" dove ci sono gli abitanti
più buoni e più onesti d'Italia? E lo sapevate che l'hanno fortemente voluta un
governatore condannato per mafia e un imprenditore indagato per mafia? Per
capirne di più bisogna andare a Caltanissetta, quella che è diventata la
capitale dell'impostura siciliana.
Nella città dove è iniziata l'irresistibile ascesa del cavaliere Antonio Calogero Montante detto Antonello, presidente di Confindustria Sicilia, presidente della locale Camera di commercio, presidente di tutte le Camere di commercio dell'isola, consigliere per Banca d'Italia, delegato nazionale di Confindustria (per la legalità, naturalmente) e membro dell'Agenzia nazionale dei beni confiscati (unica carica dalla quale si è al momento autosospeso per un'indagine a suo carico per concorso esterno), si può scoprire come in nome di una assai incerta antimafia si è instaurata una sorta di dittatura degli affari. Un califfato che si estende in tutta la Sicilia ma che è nato qui, a Caltanissetta, dove commistioni - e in alcuni casi connivenze - fra imprese e politica, impresa e stampa, imprese e forze di polizia, imprese e magistratura, hanno ammorbato l'aria e fatto calare una cappa irrespirabile sulla città.
UNA FINZIONE SOFFOCANTE
In Sicilia tutto si fonda su due parole magiche: legalità e antimafia. È una "legalità" costruita a tavolino e un'"antimafia padronale" che copre operazioni politiche opache e favorisce gruppi di interesse. Dopo la felice stagione iniziata con la "rivolta degli imprenditori" del 2007 guidata da Ivan Lo Bello contro il racket, trasformismo e ingordigia hanno snaturato l'iniziale esperienza e una consorteria si è impadronita di tutto.
La "zona franca" l'ha pretesa la Confindustria siciliana di Montante, l'unico "partito" che nel governo regionale siede ininterrottamente da sei anni con un proprio rappresentante. Quando governatore era Raffaele Lombardo - il 2 maggio del 2012 - fu istituita con un atto ufficiale la Provincia di Caltanissetta fu riconosciuta come "zona franca della legalità". L'obiettivo era quello di concedere benefici fiscali alle aziende che "si oppongono alle richieste estorsive della criminalità organizzata". Previsione di spesa: 50 milioni di euro.
Lombardo, che al momento della firma era già indagato per reati di mafia, due mesi più tardi si è dimesso e un anno dopo è stato condannato in primo grado a 6 anni e 8 mesi. Un (presunto) amico dei boss che concede agevolazioni a chi si batte contro il racket su richiesta di chi - Montante - è oggi a sua volta chiamato in causa da cinque pentiti per legami con le "famiglie". Trame di potere in una Sicilia che non ha mai temuto il paradosso.
SOTTO GLI OCCHI DEL MONDO
La Confindustria di Montante ormai è ovunque. Guida l'Irsap, l'istituto che gestisce le aree industriali siciliane, ha un peso decisivo nel business dei rifiuti e ora ha messo le mani sull'Expo. Pochi giorni fa, l'assessore alle Attività produttive Linda Vancheri, il rappresentante di Confindustria nella giunta di Rosario Crocetta, ha siglato una convenzione che assegna a Unioncamere un pacchetto di interventi per due milioni di euro. Chi guida Unioncamere in Sicilia? Antonello Montante. Sarà lui, malgrado l'inchiesta per concorso esterno, a decidere quali "eccellenze" siciliane del settore agro-alimentare dovranno figurare nella vetrina di Milano e in undici stand fra porti e aeroporti dell'isola. Materia d'indagine per almeno due procure (Palermo e Caltanissetta) e per Raffaele Cantone, il presidente dell'Authority contro la corruzione che, appena il 16 gennaio scorso, ha annunciato che su Expo è stato avviato "il più grande controllo antimafia di tutti i tempi".
MARKETING DI IMMAGINE
Una rete di interessi così fitta è protetta anche da una stampa a volte troppo compiacente con Montante e i suoi amici. Al punto da proporre (l'ha fatto La Sicilia in un lungo articolo) la notizia di una laurea honoris causa in Economia e Commercio riconosciuta dall'Università "La Sapienza" all'imprenditore. L'ateneo ha smentito il giorno dopo. Era falso.
Nelle sue molteplici vesti istituzionali Montante ha spesso offerto un "sostegno" a mezzi d'informazione e singoli giornalisti. Da presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta ha erogato una pioggia di contributi, sotto la voce "azione di marketing territoriale". Ne hanno beneficiato cronisti-scrittori, ancora prima della pubblicazione dei loro libri e testate web. Una settimana fa Il Fatto Nisseno, uno dei siti favoriti, ha cancellato un'intervista di Michele Costa (il figlio del procuratore ucciso a Palermo nel 1980) che manifestava perplessità sull'opportunità che Montante - sott'inchiesta - mantenesse le sue cariche.
L'intervista è sparita nella notte "dopo devastanti pressioni". Un altro clamoroso caso riguarda un contratto di collaborazione per due anni - 1.300 euro al mese - che Confindustria Centro Sicilia (sempre Montante presidente) ha firmato con il responsabile delle pagine di Caltanissetta de Il Giornale di Sicilia. Tutti episodi, quelli citati, che hanno spinto l'Ordine dei giornalisti ad aprire un'indagine conoscitiva.
UN ALTRO PALADINO
Oltre ad Antonello Montante, c'è un altro campione dell'antimafia a Caltanissetta. Si chiama Massimo Romano, socio e amico del Cavaliere, è il proprietario di 34 supermercati sparsi per la Sicilia e, qualche anno fa, era già finito nelle pieghe di un'indagine sui "pizzini" di Bernardo Provenzano molto interessato alla grande distribuzione. Romano da molto tempo siede a tavoli istituzionali con questori e prefetti, è il presidente del Confidi (un consorzio che cede prestiti a piccole e medie imprese) e il suo nome è scivolato in un'operazione antimafia dove il fratello Vincenzo - secondo il giudizio dei magistrati - l'avrebbe tenuto fuori dalla faccenda delle estorsioni "per preservarlo da possibili negative conseguenze sia di immagine che di carattere giudiziario". Il doppio volto di Caltanissetta zona franca per la legalità.
L'IMPASTO
C'è promiscuità fra investigatori
e magistrati e l'indagato di mafia Montante. A Roma e in Sicilia. A
Caltanissetta - visti i suoi rapporti intensi con Angelino Alfano
che poi l'ha designato anche all'Agenzia dei beni confiscati -
Antonello Montante è riuscito, il 21 ottobre del 2013, a far presiedere al
ministro dell'Interno il comitato nazionale per l'ordine pubblico e sicurezza.
Un organismo che, solo in casi straordinari, si riunisce lontano da Roma. In
Sicilia non accadeva dai tempi delle stragi di Falcone e Borsellino. Perché la
scelta di Caltanissetta? Per farla diventare quella che non è mai stata, cioè
una roccaforte dell'antimafia.
In Sicilia e a Caltanissetta c'è una vicinanza molesta fra imprenditori e rappresentanti dello Stato (si racconta di questori che si trasformano in tappetini al cospetto di Montante, di prefetti che hanno ricevuto esagerate regalie), ci sono investigatori che si fanno assumere parenti e amiche dalla cordata (è il caso di un ufficiale della Dia e di un maggiore della Finanza), ci sono uomini dei servizi segreti che sguazzano allegramente nell'ambiente "antimafioso", c'è una prossimità imbarazzante con molte toghe. Tanto evidente che ha portato il nuovo presidente dell'Associazione nazionale magistrati Fernando Asaro a invitare i suoi colleghi "a una ineludibile concreta distanza da centri di potere economici ". Più chiaro di così.
17 FEBBRAIO 2015
La provocazione di Montante:
"Burocrazia peggio della mafia, il pizzo si paga con un conto in
nero"
Le immagini si riferiscono
all'incontro del 25 febbraio 2014 a Catania tra Confindustria e la giunta
comunale di Enzo Bianco nel corso del quale il presidente dell'associazione
siciliana degli industriali Antonello Montante – attualmente indagato
per presunti contatti con i boss - parla a lungo di mafia e
burocrazia, asserendo che quest'ultima è più dannosa della mafia. E che il
pizzo si può pagare con un conto in nero (Immagini di Angelo Capuano)
LEGGI SU PALERMO.REPUBBLICA.IT
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA L'AGENZIA PER
I BENI CONFISCATI
Il delegato per la legalità di
Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si sospende
dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini che lo
riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE
LAURIA
Antonello Montante lascia la
carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione
sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di
consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità
dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici
dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto.
A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza
dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle
locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge".
In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
"Mai avrei pensato – scrive
Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni
trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco
delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori
siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che
avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come
hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo
mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di
portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato
decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale,
anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi
mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le
associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco
della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"
MONTANTE, L'INDUSTRIALE PALADINO
DELL'ANTIMAFIA SOTTO INCHIESTA IN SICILIA PER MAFIA
Leader in ascesa, presidente
degli imprenditori siciliani, delegato per la legalità di Confindustria Ora
però tre pentiti lo accusano. E dal suo passato spuntano fuori amicizie
compromettenti
di ATTILIO BOLZONI e FRANCESCO VIVIANO
C'È UN pezzo grosso dell'Antimafia dell'ultima ora che
è finito sotto inchiesta per mafia. È uno dei volti nuovi dell'Italia che
combatte i boss, ha rapporti stretti con più di un ministro e con tanti
prefetti, è il presidente degli industriali siciliani e il delegato per la
"legalità" di Confindustria. Ci sono alcuni pentiti che parlano di
lui e delle sue "pericolose frequentazioni". Come si chiuderà questa
vicenda - se c'è solo fumo o anche molto arrosto -
nessuno ancora lo può dire, di sicuro però Antonello Montante, uno dei
cosiddetti paladini delle battaglie antimafia più recenti (troppo recenti,
maligna qualcuno) è al momento indagato per reati di mafia alla procura della
repubblica di Caltanissetta. All'anagrafe è registrato come Antonio Calogero
Montante, ha 52 anni, è un siciliano di Serradifalco, provincia di Caltanissetta
- dove è anche presidente della locale Camera di Commercio -
ed è stato nominato Cavaliere del Lavoro nel 2008. È a capo di un impero nato
negli anni '20 del secolo scorso con una fabbrica di biciclette, è fondatore
della "Msa", Mediterr Shock Absorbers Spa, azienda di progettazione e
produzione di ammortizzatori per veicoli industriali presente in tutto il
mondo.
Su di lui c'è l'inchiesta di Caltanissetta e poi ce n'è un'altra a Catania, su una denuncia presentata nei mesi scorsi. Indagini blindatissime, sia per il "peso" del personaggio coinvolto sia per gli effetti che le stesse indagini potrebbero provocare. Per esempio, dal 20 gennaio 2015, il governo - su proposta del ministero dell'Interno - ha designato Montante componente dell'Agenzia dei beni confiscati. Una postazione strategica, lì si decide il destino di patrimoni sporchi per miliardi di euro.
L'inchiesta è nella prima fase e nessuno è nelle condizioni di prevedere dove potrebbe portare, ma fra le pieghe di questa storia ci sono già tutte le incoerenze di un'antimafia di fresca nascita - con patenti rilasciate con assai disinvoltura - e il paradosso tutto italiano di come si possa tranquillamente navigare da una sponda all'altra senza incertezze e contraccolpi.
COINVOLTO IN DUE INCHIESTE PER MAFIA, MONTANTE LASCIA
L'AGENZIA PER I BENI CONFISCATI
Il delegato
per la legalità di Confindustria, presidente dell'associazione in Sicilia, si
sospende dall'incarico dopo le notizie pubblicate da Repubblica delle indagini
che lo riguardano a Caltanissetta e Catania.
di EMANUELE LAURIA
Antonello Montante lascia la
carica di consigliere dell'Agenzia per i beni confiscati ai boss. Una decisione
sofferta. maturata solo nelle ultime ore, dopo un frenetico giro di
consultazioni. Il presidente di Confindustria Sicilia, delegato per la legalità
dell'associazione di viale dell'Astronomia, si sospende dai vertici
dell'Agenzia dopo le notizie, pubblicate da Repubblica, di
due inchieste per mafia, a Caltanissetta e Catania, che lo vedono coinvolto.
A parlare di Montante sono cinque pentiti, che raccontano di una vicinanza
dell'imprenditore di Serradifalco (Caltanissetta) con esponenti di spicco delle
locali "famiglie".
Montante, in una nota, annuncia la sospensione dall'incarico nel direttivo dell'Agenzia presieduta dal prefetto Umberto Postiglione e di cui fa parte anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti. Negli ultimi giorni anche da ambienti confindustriali era giunta a Montante la sollecitazione a compiere questo passo: una mossa che dovrebbe servire a placare le polemiche, in attesa di sviluppi giudiziari.
Scrive il leader confindustriale: "È per il profondo rispetto verso tutte le istituzioni, a partire da magistratura e forze dell’ordine, che oggi, alla luce delle notizie che ho appreso dalla stampa, seppure sconsigliato da tanti, ho deciso di autosospendermi dal consiglio direttivo dell’Agenzia".
Montante mantiene gli incarichi all'interno di Confindustria: il comitato di presidenza di viale dell'Astronomia mercoledì aveva ribadito la fiducia all'imprenditore, uno dei protagonisti nell'Isola della rivolta degli industriali contro il racket: passaggio non scontato, che aveva fatto seguito al sostegno offerto il giorno prima, a Palermo, dai vertici di Confindustria Sicilia, Ance Sicilia, Piccola Industria e Giovani industriali dell'Isola.
Ma la questione centrale, ogni giorno di più, era diventata la permanenza di Montante nel ruolo di consigliere dell'Agenzia per i beni sequestrati e confiscati alla mafia. "Montante si dovrebbe dimettere? Non lo so, dipende da una sua sensibile valutazione ", aveva detto il prefetto Postiglione, pur rimanendo prudente: "Nessuno è colpevole fino a che non è condannato né è costretto a dimettersi per legge".
In un silenzio sostanziale di quasi tutti i principali partiti, Sel, grillini e Rifondazione Comunista avevano auspicato un passo indietro di Montante. L'autosospensione, in particolare, era stata chiesta dal vicepresidente della commissione antimafia Claudio Fava. Una decisione che Montante ha preso stamattina.
"Mai avrei pensato – scrive Montante – di dovermi trovare un giorno in una situazione simile dopo anni trascorsi in trincea, insieme a tanti altri imprenditori, sempre al fianco delle istituzioni. Anni durante i quali un gruppo di giovani imprenditori siciliani ha preso coraggio e ha espulso dalla propria associazione persone che avevano rivestito ruoli apicali negli organi associativi regionali e che, come hanno sottolineato alti magistrati in occasioni pubbliche, grazie al metodo mafioso e a protezioni politiche, avevano creato un sistema di potere di portata regionale se non nazionale. Anni durante i quali abbiamo accompagnato decine di colleghi alla denuncia, sostenendoli anche nelle aule di tribunale, anni in cui abbiamo sollecitato controlli antimafia preventivi, in alcuni casi mai fatti prima, e ci siamo costituiti parte civile, insieme con tutte le associazioni aderenti a Confindustria, in processi contro esponenti di spicco della criminalità organizzata".
Il presidente degli industriali siciliani parla anche dei collaboratori di giustizia che lo chiamano in causa: "Le persone che vedo citate negli articoli giornalistici pubblicati in questi giorni - afferma Montante - sono state da noi tutte denunciate e messe alla porta, così come è possibile leggere in documenti pubblici consegnati in commissione Antimafia, in occasione dei Comitati per l'ordine e la sicurezza pubblica e, comunque, a tutti gli organi antimafia del Paese. Lo abbiamo fatto subendo minacce gravissime e mettendo a rischio la nostra vita. Tutto per affermare una rivoluzione innanzitutto culturale"
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA
DELLE FEMMINE
ANTONELLO
MONTANTE, BATTAGLIE (IGNORATE), DENUNCE (DIMENTICATE) DI MINISTRI E MAGISTRATI
E PAROLE (CALATE) DEI PENTITI
13
FEBBRAIO 2015
Il presidente di Confindustria Sicilia e delegato di
Confindustria nazionale sui temi della legalità Antonello
Montante sarebbe accusato da alcuni pentiti di essere in contatto o vicino
a mafiosi o ad ambienti mafiosi, dai quali avrebbe ricevuto favori ricambiati.
Ora, specificato che la magistratura (di Caltanissetta e
Catania che starebbero indagando) farà il suo corso (sul quale non mi permetto
di fare appunti), specificato che non mi permetto neppure di giudicare il
lavoro dei giornalisti che hanno scritto della vicenda, specificato che dei
pentiti (in generale) mi fido da sempre quanto un piranha negli slip e quando
ne ho trattato me ne sono dovuto pentire giurando a me stesso che si fottessero
tutti, ricordato che nessuno come i siciliani e i calabresi è
specializzato in “tragediate” (altresì chiamate “carrette”), specificato che
non compete a me prendere le difese di Antonello Montante (e infatti
non le prendo perché lo fa da solo e/o con i suoi avvocati), sottolineato che
fino a che ci sarà democrazia e libertà di opinione, stampa, giudizio, parola e
informazione, continuerò a ragionare con il mio cervello senza guardare in
faccia a nessuno, vi sottopongo, o cari lettori di questo umile e umido blog,
un mero contributo di riflessioni ad una vicenda nelle mani sacrosante della
magistratura.
1) Complimenti vivissimi alle menti raffinatissime
che, da alcuni mesi, stanno distillando le fughe di notizie sulla (o sulle)
indagini e/o procedimenti penali aperti nei confronti di Montante. Gli
ambienti investigativi e giudiziari, pronti, senza scrupoli e contravvenendo ai
principi costituzionali e a quelli scritti sulla Carta europea dei diritti
dell’Uomo, a indagare i giornalisti per concussione (avete letto bene, con pene
che arrivano a 7 anni di reclusione) quando danno liberamente conto di
procedimenti o indagini a loro sgradite, sono invece rapidissimi nell’allungare
la manina (a chi vogliono) con informazioni a orologeria a qualcuno congeniali.
Perché vedete, sia che si tratti di una bufala accusatoria montata ad arte (dai
pentiti suddetti che ovviamente rappresenterebbero il braccio e non certo la
mente), sia che si tratti di un filone propizio per fare luce su presunti
legami impropri tra mafia e antimafia, queste fughe di notizie su indagini
definite dai giornali blindatissime (come? Blindatissime? Pensa te se non lo
erano…) sono state studiate a tavolino. Sono mesi, infatti, che si assiste ad
un “distillato” di voci e sussurri su Montante.
2) Un risultato immediato, le menti
raffinatissime che hanno cantato, l’hanno raggiunto: infliggere un colpo
durissimo all’antimafia. Non mi riferisco a quella dei nomi ma a quella dei
fatti e dei gesti. Ebbene, mi domando e vi domando: con quale forza e spirito
in Sicilia e al Sud (ma non solo) gli imprenditori vessati dalle mafie
continueranno a bussare alle porte delle forze dell’ordine e della stessa
Confindustria per denunciare i propri maledetti carnefici mafiosi? Credetemi
anche in questo caso: proprio questo è il momento più propizio. Denunciate la
mafia, perché è “merda”. Non solo quella fatta da picciotti e capibastone ma,
soprattutto, quella fatta di intelligenze al servizio del male. Chi denuncia è
sempre libero e ora più che mai, sono convinto, Forze dell’Ordine e
Confindustrie locali sono pronte ad accogliere e seminare legalità.
3) Ricordo che Francesco
Cossiga chiamava il sindaco di Palermo Leoluca Orlando,Leoluca Orlando
Cascio. Lo stesso Cossiga, che ovviamente era perennemente coperto da
immunità parlamentare e/o presidenziale, nel corso di una trasmissione
televisiva con Giuliano Ferrara, più di 20 anni or sono, spiegò che nella
prima relazione di minoranza della Commissione Antimafia degli anni ’70,
firmata dalla vittima della mafia, onorevole Pio La Torre, ammazzato nel
1982, il padre dell’allora onorevole Leoluca Orlando (Cascio),
celebre notabile Dc, era definito il collegamento tra la politici ed ambienti
salottieri palermitani del dopoguerra dove era facile che bianco e nero si
mischiassero.
Quando, oltre 20 anni fa, conobbi Leoluca, che non ricorreva
mai al doppio cognome (Orlando Cascio), di tutto mi preoccupai tranne che di
giudicarlo dalle gesta di suo padre. Ammesso e non concesso che fossero
nebulose. Un uomo politico – la stessa cosa, sublimata da poche settimane da un
elezione, si può dire per la famiglia Mattarella, di cui un membro è
diventato Presidente della Repubblica alla luce del sole e dell’ombra, visti
gli attacchi rivolti ai presunti trascorsi paterni – lo giudico dal momento e
nel momento in cui fa politica, cioè si prende cura di una collettività
amministrata. Il suo passato mi interessa ma solo se serve per dimostrare nel
presente e per il futuro, coerenza con i principi e i valori nei quali io
personalmente sono stato cresciuto e che insegno ai miei due figli. Se quei
valori sono contraddetti (onestà, probità, lealtà, legalità, incorruttibilità,
rispetto dei diritti e della legge e via di questo passo) me ne fotto di
passato, presente e futuro.
Bene. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per chi
si oppone alla mafia tra gli imprenditori che (è il caso di Montante) ricoprono
anche fondamentali ruoli associazionistici.
Da quando io l’ho conosciuto (otto anni or sono iniziò la
battaglia confindustriale per l’etica d’impresa e la rivolta alla mafia prima
proprio a Caltanissetta e poi su per li rami in tutta Italia) i comportamenti e
il rigore di Montante mi sono apparsi conseguenziali a valori di dura
opposizione all’economia criminale e alla mafia sociale, che scorre a fiumi
nelle varie stanze dei bottoni di una classe dirigente sempre più corrotta.
Inutile ricordare le prese di posizione (tutti dobbiamo ricordare che è proprio
la parola il primo nemico della mafia, fondata non a caso sull’omertà) ma gli
atti sì: le espulsioni dei mafiosi o dei presunti mafiosi dalle associazioni, i
commissariamenti mai osati prima di alcune Confindustrie locali (do you
remember Reggio Calabria?), i protocolli d’intesa visti e rivisti per
renderli non chiacchere (di solito lo sono) ma concreti, l’azione di
rinnovamento nelle associazioni (comprese quelle camerali, o sono anche quelle
frutto di comparaggio?), l’obbligo di white list negli appalti pubblici, le
zone franche per attirare INVESTIMENTI nelle province palermitane e
nissene, la legalità al centro dell’azione degli industriali, il rating di
legalità per le imprese nei confronti delle banche e degli enti appaltatori, il
sostegno a quella magistratura che finalmente ha deciso di usare il
lanciafiamme contro le mafie e i sistemi criminali, le costituzioni di
Confindustria (proprio a Caltanissetta e poi ovunque) come parte civile nei
processi per mafia e la durissima lotta in Sicilia (poi ci torno) contro quei
centri di potere massonico deviato/mafioso che erano le aree di sviluppo
industriale.
Figuriamoci se, quando l’ho saputo, potevo e posso giudicare
le azioni di Montante per il fatto che quando aveva 17 anni un suo
testimone di nozze, venti anni dopo il matrimonio o giù di lì, da
incensurato passerà ad essere noto alla Giustizia, come suo padre che morirà
poi suicida in carcere nel 1992. Chi è senza peccato, scagli il primo
testimone.
4) C’è chi, in questi giorni, si sta prodigando
per srotolare “dietrologie” a giustificazione delle presunte dichiarazioni (da
riscontrare o pera della magistratura alla quale ci rimettiamo) dei pentiti (1,
5, 10, 100, boh!) contro Montante. E’ perché è stato nominato dal Governo
nella inutile (finora) Agenzia nazionale dei beni confiscati alle mafie! E’
perché il movimento antimafia si è sempre spaccato su tutto in Sicilia e dunque
è il risultato di una guerra intestina (ma intestina a chi?)! E’ perché chi
troppo vuole nulla stringe e, tranne la carica di sindaco, a Caltanissetta e a
Roma ormai lui è più di un papa! E’ perché queste cose entrano in campo mentre
si giocava (ma si gioca tuttora) la partita per occupare la poltrona di capo
della Procura di Palermo! E’ perché è amico di potenti troppo potenti in tutti
i campi: dalla politica alla magistratura! E’ così o cosà, lascio che ciascuno
dica la propria (rispetto tutti a maggior ragione, e lo dico in generale,
quando non sono d’accordo). Io aborro la dietrologia e faccio, umilmente,
riferimento ad un fatto, che sarà senza dubbio una coincidenza.
Se ho ben capito il capataz degli accusatori sarebbe
tal Salvatore Dario Di Francesco, che nell’area di sviluppo industriale di
Caltanissetta prestava lavoro.
Bene. Leggete quel che
denunciarono il 5 giugno 2014 anche (e sottolineo anche) in Commissione
parlamentare antimafia Montante e Ivanhoe Lo
Bello (vicepresidente nazionale di Confindustria) a proposito delle Asi
siciliane e non solo: «…ci troviamo, in Sicilia, in una situazione complessa,
che riguarda – voglio portarla all’attenzione della Commissione antimafia – il
ruolo dei consorzi di sviluppo industriale, che hanno dimostrato nel tempo di
essere un luogo di presenza capillare e diffusa di criminalità mafiosa. Oggi la
regione ha riportato al centro i consorzi, ma il presidente dei consorzi Asi,
oggi Irsap, è oggetto di continue intimidazioni. Peraltro, da tempo ha avuto un
aumento della scorta, il secondo livello, ed è costantemente attaccato da tanti
soggetti con minacce significative, su cui voglio richiamare l’attenzione della
Commissione antimafia. Mi riservo anche di fare arrivare alla Commissione
antimafia della documentazione sui temi dei consorzi di sviluppo industriale, tema
centralissimo anche nelle dinamiche nel rapporto tra cattiva impresa e sistema
mafioso» (Lo Bello).
«Abbiamo divulgato una cultura di
impresa nuova, sostenendo che forse era il caso di cambiare rotta, considerato
che nel 2005 e nel 2007 i presidenti delle Confindustrie siciliane erano stati
tutti indagati o arrestati per lo stesso problema, Palermo, Caltanissetta,
Enna. Il problema del consorzio Asi si conosceva, ma non era emerso.…
…Ha parlato il mio collega dei
consorzi Asi, che andavano oltre ogni immaginazione. Erano luoghi, come le
indagini e le condanne dimostrano, in cui le organizzazioni si riunivano. È
un’anomalia tutta nostra, tutta siciliana o del Mezzogiorno d’Italia. Erano
cose pazzesche.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.
Ricordiamo che e un imprenditore del nord, che doveva realizzare un opificio industriale, presidente, chiedeva l’autorizzazione al comune d’appartenenza, chiedendo la concessione Pag. 17edilizia per costruirlo. Parlo della Sicilia, ma possiamo anche parlare della Calabria e di altri luoghi. In Sicilia non era così. Bisognava andare prima al comune di appartenenza, chiedere l’autorizzazione alla costruzione dell’opificio, parlare con tutta la commissione edilizia, senza dimenticare nessuno, con l’ingegnere capo, ma non finiva lì.
Serviva il nulla osta del consorzio dell’area sviluppo industriale, un ente appaltante in contrapposizione al comune d’appartenenza. All’interno del consorzio Asi c’erano un presidente, un direttore generale, un ingegnere capo e una struttura infinita. Non lo ha citato Lo Bello, che ha fatto grandi cose, ma lascia il ruolo a me e mi fa fare bella figura, quindi racconto io che in una due diligence sempre a due abbiamo verificato che all’interno dei consorzi ASI c’erano insediate anche 30 aziende e il consiglio d’ammissione dello stesso consorzio era di 70 unità.
In Sicilia, ad esempio, il numero degli amministratori dei consorzi Asi era un totale di 800 persone, con circa 500 aziende insediate, quindi non è questo il problema. Oggi abbiamo copiato modello nazionale virtuoso. In realtà, lo ha fatto chi ha proposto la legge, in parte anche noi, e oggi un gruppo dirigente non è sostituito da un altro gruppo dirigente: si è sostituito quel modello e 800 persone sono sostituite da 5. Questo si è verificato.
Non vi ho detto cosa fossero i consorzi Asi dentro le Asi stesse, queste aree industriali: dei condomìni. Ho aziende da decenni al nord: ci si apre un’azienda in un’area a destinazione industriale e si chiede l’autorizzazione solo al comune. Poi c’è da versare ogni mese una quota per il giardinaggio esterno. Questo è un condominio, non con 30 aziende, bensì con 500 insediate.
I consorziati servivano, quindi, a controllare le aziende e poi diventavano i luoghi – parlo di inchieste e di condanne che vediamo ogni giorno – dove si incontravano i capimafia, non di nascosto, niente di segretato, bensì ufficialmente proprio lì nei consorzi. Facevano, quindi, riunioni con la mafia.
Non affidavano i terreni a veri imprenditori, ma a quelli a cui serviva il terreno, lo regalavano. Sono attive inchieste anche a Palermo, a Catania, a Caltanissetta, ad Agrigento. Non ne parliamo. Parlo, naturalmente, sempre della Sicilia.
L’attuale presidente Cicero è stato oggetto, e la notizia è pubblica, di inquietanti attentati. Gli stessi procuratori hanno sentito l’esigenza di esternarlo in maniera forte ricorrendo all’attività mediatica. Questo signore o questi signori vivano in uno stato di guerra vera.
Parliamo di ordigni, di commandi interi, sei persone, fortunatamente tutte fotografate, che arrivano con un mezzo perché volevano caricarlo o ammazzarlo. Fortunatamente, sono stati beccati dalle telecamere e quindi è stato sventato tutto. Non stiamo parlando, quindi, di fantasie, ma di cose serie. Queste sono le cose più grosse, poi ce sono si minori.
È saltato un sistema. Oggi le aree industriali danno a chi ha un progetto e anche subito. Oggi non ci sono più le consulenze, i vitalizi, non c’è spartizione politica e questo, naturalmente, ha fatto saltare i nervi. Oggi quell’organizzazione non controlla più le aziende, e quindi non sa a chi chiedere il pizzo e a chi non chiederlo. Questo è saltato.
Questo è ciò che fa Confindustria. Ho iniziato a dire che non siamo un’associazione antiracket, ma che dobbiamo dire al nostro associato che non gli conviene un certo comportamento. Se si è in un sistema malato, prima o poi si finisce come in quella due diligence mia e di Lo Bello, per cui dopo venti o trent’anni si crolla o lo Stato arriva e sequestra l’azienda o la sequestra la mafia o ti ammazzano comunque per strada. Penso che in parte ci siamo riusciti. Il problema è culturale, presidente, non di azioni o di legge, ma è un problema per cui bisogna comunque un po’ ancora forse aspettare» (Montante).
5) Il 24
gennaio 2015 il presidente della Corte di appello di Caltanissetta, Salvatore
Cardinale, in apertura di anno giudiziario dirà: «ci sono ancora boss che
impartiscono ordini dal carcere e che continuano a mantenere e ad esercitare il
loro antico potere. Il periodo preso in esame, è stato caratterizzato da intimidazioni,
minacce, insinuazioni e delegittimazioni varie rivolte a magistrati, funzionari
pubblici e rappresentanti di organizzazioni private, specie quelli più esposti
sul campo dell’antimafia e della lotta all’illegalità.
Si tratta di segnali che sembrano
manifestare un parziale cambiamento della strategia fin qui perseguita del
cosiddetto “inabissamento” a favore della scelta di una maggiore visibilità
anche mediatica dell’insofferenza sempre più crescente verso l’azione di
contrasto che tuttora è condotta dallo Stato e che trova l’adesione in alcuni
protagonisti di un’imprenditoria libera e illuminata.
In tal senso, da parte degli
investigatori, sono stati interpretati gli attacchi contro i nuovi vertici
confindustriali siciliani e nisseni, spesso aggrediti attraverso il metodo
subdolo della diffamazione e del discredito mediatico, e l’accentuata campagna
di delegittimazione condotta a tutto campo contro vari protagonisti
dell’antimafia operativa, mirati a riprodurre una strategia della tensione che
potrebbe tradursi in azioni eclatanti. Su tale linea strategica sembrano porsi
i due “avvertimenti”, uno dei quali consumato a Caltanissetta, posti in essere
contro il Presidente dell’Irsap».
La domanda sorge spontanea: è
impazzito il procuratore generale che parla di «imprenditoria libera e
illuminata…di intimidazioni, minacce, insinuazioni, delegittimazioni, metodi
subdoli e discrediti mediatici» in corso nei confronti anche dei vertici
confindustriali nisseni e siciliani oppure i pentiti? Non dico tanto ma se avessi
ricevuto io la soffiata sulle presunte indagini su Montante (a
quando Lo Bello?) questa domanda me la sarei fatta e quantomeno avrei
tenuto acceso il falò del dubbio.
6) Già perché, guardate voi come
è corta la memoria, il 21 ottobre 2013, a Caltanissetta, ci fu una
riunione straordinaria del Comitato nazionale per l’ordine pubblico per
fronteggiare il rischio di nuovi attentati di cui nessuno, i questi giorni, si
è ricordato. Senz’altro le menti raffinatissime hanno sperato nell’oblio.
Mai come in quei mesi, le
speranze di cambiamento, descritte sui media di tutto il mondo dopo la
decisione – di Confindustria Sicilia prima e Confindustria nazionale poi – di
mettere all’angolo gli imprenditori che non denunciavano pizzo e mafie,
apparivano lontane, sotto assedio e a rischio.
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket».
«A Caltanissetta è scesa in campo la squadra-Stato al massimo livello, dal Procuratore nazionale antimafia ai vertici delle Forze dell’ordine, dai prefetti alle Dda, al Governo», disse il ministro dell’Interno Angelino Alfano, rispondendo a chi gli chiedeva se ci fosse il rischio che Cosa nostra alzi il tiro. «Non possiamo escludere – ha detto – che questo sia l’intendimento della mafia». Poi il ministro ribadì sostegno e vicinanza agli imprenditori, «a cominciare da Montante e Lo Bello che si sono ribellati al racket».
7) Ma attenzione ora
ad un’altra data: il 17 settembre 2013, il Comune di Chianciano Terme (Siena)
mise sul proprio sito istituzionale foto e cronaca di un convegno sulle stragi
di mafia del ’92 che si era tenuto due giorni prima nella sala Fellini delle
Terme e passato sotto drammatico silenzio a livello nazionale. Anch’esso
passato nel dimenticatoio della stampa e dalla speranza di oblio delle menti
raffinatissime. «È in corso una campagna di delegittimazione da parte di centri
di poteri occulti – dichiarò in quell’occasione il procuratore di
Caltanissetta Sergio Lari – che mirano a screditare chi in
Sicilia combatte con i fatti malaffare e mafia. Ci sono centri di potere,
collegati sicuramente con le organizzazioni mafiose, che utilizzando nuovi
mezzi di comunicazione come blog, social network o fantomatici giornali online
e gettano sospetti e fango su chi l’antimafia la fa davvero, ovvero con i
fatti. Hanno avviato una campagna di delegittimazione, oltre a proseguire con
gli avvertimenti. Continuano ad arrivare buste con proiettili, croci ed altri
messaggi inquietanti».
8) Dunque eravamo a
settembre 2013 e Lari, vale a dire il capo della Procura che ora con
quella di Catania starebbe indagando su Montante, un anno e mezzo fa
parlava di centri di potere che ordiscono campagne di delegittimazione e
discriminazione utilizzando ogni mezzo possibile e immaginabile. Certo, non
c’erano nomi e cognomi maLari, un mese dopo quelle frasi, a ottobre, sarà alla
riunione del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, con un ministro
dell’Interno che invece fece i nomi di coloro che si erano ribellati al racket,
a partire (i nomi li ha fatti Alfano, non io o voi) da Lo
Bello eMontante. E poche settimane fa, un procuratore generale, Cardinale,
metterà in fila gli avvenimenti senza peli sulla lingua. Due più due fa ancora
quattro?
Di questo incontro a Chianciano
Terme, a parte le cronache locali toscane e siciliane, la grande stampa si
disinteressò, perché un annuncio di morte non è una notizia. Quelle che
sgorgano dalle menti raffinatissime – che, ripeto, siano fondate o meno –
si.
Le mafie hanno memoria lunga e non basta una vita per cancellarla.
Tifo, come sempre, per la
Giustizia e spero, nel nome dell’Italia onesta nella quale senza se e senza ma
mi riconosco, di sapere prestissimo la verità. I miei principi non cambieranno.
Ne usciranno rafforzati.
A CURA DEL COMITATO CITTADINO
ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
CANNOVA GIANFRANCO ASCESA
E DECLINO DELL'ANTIMAFIA DEGLI AFFARI "CHE NON SI POSSONO RIFIUTARE"
Giulio Ambrosetti
Un' inchiesta coinvolge la
dirigenza di Confindustria Sicilia e indirettamente quei politiici
antimafia che dovevano rappresentare "il nuovo" rispetto ai vecchi
"comitati d'affari". Mala gestione dei beni sequestrati alla
mafia, conflitti d'interessi alla Regione, irregolarità sull'utilizzo
dei fondi europei, privatizzazione degli aereoporti... La
magistratura ultimo baluardo in difesa della legalità?
Tira un’aria pesante in questi giorni lungo l’asse
Palermo-Caltanissetta-Roma. Agli incroci di mafia e antimafia c’è un po’ di
‘traffico’. Un ingorgo da legalità ‘strillata’. Storie strane. E un’inchiesta
su presunti fatti di mafia che coinvolge il presidente di Confindustria
Sicilia, Antonello Montante, considerato uno degli uomini di punta
dell’antimafia e dell’antiracket. Si tratta di dichiarazioni di pentiti di Cosa
nostra che lo tirano in ballo. Notizie da prendere con le pinze, ovviamente. Ma
il fatto che siano venute fuori, beh, è segno che alcune ‘cose’, nell’Isola,
stanno cambiando. Anche, anzi soprattutto per chi, dal 2008, di diritto o di rovescio,
esercita in Sicilia un potere pieno e, adesso, un po’ controllato: il senatore del
Megafono-Pd, Giuseppe Lumia.
E’ lui, ormai da sette lunghi anni, l’uomo politico più potente della nuova e della
‘vecchia’ Sicilia. E’ lui il garante di tanti, forse troppi accordi in bilico
tra politica, economia e chissà cos’altro ancora. A lui fa
riferimento Antonello Montante, oggi sfiorato dal dubbio che dai tempi di
Crispi e di Giolitti fino ai nostri giorni illumina come un’ombra sinistra
tanti politici siciliani ascesi al soglio del potere. Dubbi che, nel caso
dell’ex presidente della Regione, Totò Cuffaro, si sono trasformati in condanna
a sette anni per mafia. Dubbi che hanno accompagnato il suo successore,
Raffaele Lombardo, anche lui fulminato da una condanna di primo grado
sempre per mafia (in questi giorni dovrebbe iniziare il processo di secondo
grado). Ogni storia giudiziaria, ogni inchiesta dei magistrati inquirenti, si
sa, è storia a sé. Ma è impossibile non vedere in questa vicenda il contesto
politico in cui è maturata la svolta giudiziaria che coinvolge Montante.
Proviamo a illustrarla.
In politica sono importanti i segnali. E il primo segnale
sinistro è arrivato circa una settimana prima del ‘siluro’ che ha colpito il
presidente di Confindustria Sicilia. Ed è stata la scoperta che la Regione
siciliana della quale Rosario Crocetta è il presidente - anche lui,
neanche a dirlo, personaggio legato a doppio filo al senatore Lumia - non si è
costituita parte civile in un procedimento giudiziario che coinvolge un
funzionario regionale finito in manette per tangenti. Questa mancata
costituzione di parte civile da parte della Regione, stando a indiscrezioni,
potrebbe essere legata al fatto che il funzionario finito sotto processo, Gianfranco Cannova,
era il responsabile del procedimento amministrativo di importanti
autorizzazioni ambientali. La firma sui provvedimenti di
autorizzazione non poteva essere la sua, perché si tratta, come già accennato, di un
funzionario e non di un dirigente.
Viene da chiedersi, a questo punto, perché hanno arrestato
lui, se a firmare erano, a norma di legge, altri dirigenti. E’ in
questo scenario che si inserisce la mancata costituzione di parte civile da
parte del governo regionale di Crocetta. Con molta probabilità, dietro questa storia c’è un comitato
di affari.
E questo comitato di affari che la Regione sta cercando di
proteggere non costituendosi parte civile?
E’ Cannova non sa nulla di questa storia?
Le domande sono più che legittime, perché quello che sta
succedendo è veramente strano.
In ogni caso, per il presidente Crocetta - un personaggio
che, a parole, si proclama sempre antimafioso e paladino della
cultura della legalità - è una pessima figura, sia nel caso in cui avesse
semplicemente ‘dimenticato’ di costituirsi parte civile, sia nel caso in cui si
dovesse venire a scoprire che dietro questa storia c’è un comitato di affari.
La cosa strana è che gli ultimi due dirigenti che stavano sopra
il funzionario regionale finito in manette non ci sono più. Il primo - Vincenzo
Sansone - è andato in pensione negli stessi giorni in cui esplodeva il ‘caso’
Cannova. Il secondo - Natale Zuccarelo - con parenti importanti nel mondo
politico siciliano, è stato trasferito negli uffici del dipartimento regionale
dei Rifiuti.
Una settimana dopo lo scivolone di Crocetta (che comunque,
come già accennato, non è nuovo a questo genere di ‘stranezze’, se è vero che
il suo governo, in tanti, forse troppi casi, ha ignorato le regole
sull’anticorruzione) è arrivata la ‘botta’ a Montante. Agli osservatori non
sfugge che il presidente di Confindustria Sicilia è stato chiamato a far parte dell’Agenzia per i beni
confiscati e sequestrati alla mafia. Una struttura, inventata dalla
politica italiana, della cui presenza in vita i cittadini del nostro Paese non
avvertivano e non avvertono ancora oggi il bisogno.
Su questo punto è bene essere chiari. Dei beni sequestrati e confiscati alla mafia si
occupa già la magistratura. Ci sono state polemiche sul fatto che
chi va a gestire questi beni - che di solito sono avvocati e commercialisti
nominati dai magistrati - non avrebbe e competenze imprenditoriali per gestire
aziende confiscate che poi, magari, falliscono. Il problema esiste. Ma non si
capisce perché, a risolverlo, dovrebbero essere soggetti nominati da una
politica che spesso è collusa con la mafia.
Insomma, senza girarci tanto attorno, il dubbio, tutt’altro
che campato in aria, è che la politica stia provando a togliere ai magistrati
la gestione dei beni confiscati alla mafia. E siccome sono noti i rapporti tra
mafia e politica, non è da escludere che i politici, con questo stratagemma,
puntino a restituire, sottobanco, i beni confiscati ai mafiosi o ai loro
eventuali prestanome.
Nessuno, per carità!, vuole offendere i soggetti - Prefetti
in testa - chiamati a gestire l’Agenzia per i beni confiscati o sequestrati alla
mafia. Le nostre sono semplici considerazioni politiche che non coinvolgono i
Prefetti. Considerazioni legate, piaccia o no, alla storia del nostro Paese. E’
un peccato di lesa maestà ricordare - lo faceva nei primi del ‘900 Gaetano
Salvemini - che Giolitti, nel Sud d’Italia, esercitava il suo potere proprio
con i Prefetti in combutta con i prepotenti e i mafiosi dell’epoca? E ci sono
dubbi sul fatto che, in Italia, ancora una volta, l’ultimo baluardo contro un’illegalità mai doma
è rappresentato dalla magistratura?
Detto questo, la politica farebbe bene a sbaraccare subito
questa inutile Agenzia per i beni confiscati e sequestrati alla mafia. Quanto
ai problemi legati alla mancata gestione imprenditoriale delle aziende
confiscate alla criminalità organizzata, beh, è sufficiente affiancare ai
commercialisti e agli avvocati imprenditori o associazioni di imprese. Ma
questo deve farlo la magistratura e non i politici attraverso un’inutile
Agenzia controllata dalla politica!
Fine delle considerazioni sull’aria pesante che oggi si
respira nell’Isola? Niente affatto. I cambiamenti in corso sono ancora più
profondi. Qualcuno, in Sicilia, a partire dal 1994, pensava di essere immune da
qualunque controllo di legge. E, in effetti, forse in parte è stato così. Chi
scrive ricorda un sindaco di Corleone di sinistra che in quegli anni affidava e
rinnovava appalti a una società riconducibile a parenti stretti del boss
Bernardo Provenzano. Per non parlare della storia del miliardo di vecchie lire
messo a disposizione dall’Onu nel 2000. SOLDI, affidati a soggetti dell’antimafia, di
cui non si è saputo più nulla.
Tra i personaggi che hanno sempre ‘navigato’ in un’Antimafia
molto discutibile c’è il già citato senatore Lumia. Che oggi non sembra più il
politico ‘irresistibile’ di un tempo. Qualcuno ha creduto che lui e i
personaggi a lui vicini non sarebbero mai stati chiamati a rispondere del
proprio operato. Forse perché ha pensato, errando di grosso, che la
magistratura era assimilabile agli altri poteri dello Stato italiano, più o
meno addomesticabili. Ebbene, questo qualcuno si è sbagliato. Perché sia la
magistratura nel suo complesso (con riferimento, come vedremo, anche al Tar,
sigla che sta per Tribunale amministrativo regionale della Sicilia), sia la Corte
dei Conti stanno rispondendo ai prepotenti, ai furbi e anche ai mafiosi, vecchi
e ‘nuovi’ con un solo linguaggio: quello della legalità.
La vicenda che oggi coinvolge Montante - vicenda, lo
ribadiamo, legata a dichiarazioni di pentiti ancora tutte da verificare -
arriva da lontano e, con molta probabilità, è destinata ad andare lontano.
Toccando tutti i gangli del sistema di potere che dal 2008 tiene in pugno la
Sicilia. Chi scrive, già nei primi mesi dello scorso anno, sul quotidiano on
line LinkSicilia, segnalava, ad esempio, lo strano caso di Patrizia Monterosso, segretario generale della
presidenza della Regione (in pratica, il più alto burocrate della Regione
siciliana che, lo ricordiamo, in virtù della propria Autonomia, potrebbe essere
assimilato a uno Stato americano se la stessa Autonomia venisse applicata
correttamente: cosa che non avviene), e di suo marito, l’avvocato Claudio
Alongi. Con la prima che si pronunciava su un incarico del marito
presso la stessa amministrazione regionale! E con il secondo che
forniva pareri legali alla moglie per fatti che riguardano la stessa
amministrazione regionale!
Entrambi in palese conflitto di interessi.
Quando abbiamo scritto queste cose ci hanno quasi presi per
matti. Non ci credevano. Ma oggi questa vicenda è diventata di dominio
pubblico. E, con molta probabilità, è al vaglio delle autorità competenti.
Superfluo aggiungere che anche la Monterosso fa parte del sistema di potere del senatore Lumia.
Il senatore Lumia - che è il vero presidente ‘ombra’ della
Regione siciliana, in quanto inventore della candidatura di Crocetta
insieme con i geni dell’Udc, formazione politica in via di decomposizione
politica - comincia a perdere colpi. Ben prima del ‘siluro’ che in questi
giorni ha centrato Montante, lo stesso segretario generale della presidenza
della Regione, la già citata Patrizia Monterosso, è stata condannata dalla Corte dei Conti al
pagamento di oltre un milione di euro (€
1.279.007,04) per fatti riguardanti il settore della formazione professionale. ( Sent. n.
401/2014 http://nuovaisoladellefemmine.blogspot.it/2014/03/blog-post_14.html )
Un altro ‘pezzo’ importante del sistema di potere di Lumia -
la dirigente generale del dipartimento Lavoro della Regione, Anna Rosa Corsello
- è stata di recente ‘bastonata’ dal Tar Sicilia, che ha dichiarato nullo un
atto amministrativo da lei confezionato (si tratta del decreto di
accreditamento degli enti di formazione, atto che avrebbe dovuto essere firmato
dal presidente della Regione e che, invece, è stato firmato dall’ex assessore
regionale, Nelli Scilabra). Il decreto dichiarato nullo dal Tar
Sicilia potrebbe avere effetti dirompenti, perché sui SOLDI già spesi sulla base di un decreto
nullo la Corte dei Conti dovrebbe avviare un’azione di responsabilità a carico
dei protagonisti di questa incredibile storia (parliamo di milioni di
euro).
Non solo. Sembra che, adesso, anche l’Unione europea si stia
svegliando. Fino ad oggi Bruxelles, sulla formazione professionale, ha fatto
finta di non vedere violazioni incredibili. I burocrati legati all’attuale
governo regionale hanno bloccato l’assegnazione di fondi europei per rivalersi
su errori commessi nell’erogazione di fondi pubblici. Solo che i fondi erogati
irregolarmente erano regionali, mentre quelli con i quali la Regione ha provato
a rivalersi erano europei. Due tipologie di fondi pubblici non sovrapponibili.
Morale: la Regione non avrebbe dovuto bloccare l’erogazione
di fondi europei per recuperare fondi regionali erogati illegittimamente.
Ma c’è, nella gestione della formazione professionale
siciliana, un’irregolarità che sta ancora più a monte. Una storia molto più
grave che Bruxelles non ha ancora sanzionato. I fondi europei, per definizione,
sono ‘addizionali’: si debbono, cioè, sommare ai fondi nazionali e regionali.
La Regione siciliana, invece, dal 2012, utilizza i fondi europei sostituendoli
totalmente ai fondi regionali. E questo non si può fare. Non a caso è in corso
una class action da parte del mondo della formazione professionale siciliana
contro la Regione che, ormai da quattro anni, non si dota del Piano formativo
regionale della formazione professionale con fondi regionali, finanziando tutto
con le risorse del Fondo sociale europeo. Cosa, questa, che non si dovrebbe
fare perché a vietarlo è la stessa Unione europea che, fino ad oggi, violando
leggi e regolamenti che essa stessa si è data, fa finta di non vedere tutto
quello che succede in Sicilia in questo settore, rendendosi complice di
un’irregolarità ai danni di se stessa.
Tutto questo vale per il passato e per il presente. Ma il
‘siluro’ che ha colpito Montante e il sistema di potere del senatore Lumia
riguarda anche il futuro. E’ noto a tutti che, guarda caso in questi giorni, si
è aperta la ‘caccia’ alle tre società che gestiscono gli aeroporti siciliani.
Sono la Sac, che gestisce gli aeroporti di Catania Fontanarossa e Comiso; la
Gesap, che gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ di Palermo; e l’Airgest,
che gestisce l’aeroporto ‘Vincenzo Florio’ di Trapani. Per motivi ‘misteriosi’
queste tre società - fino ad oggi controllate da soggetti pubblici - dovrebbero
essere privatizzate. Si tratta di società che, se gestite con oculatezza, potrebbero
dare utili e ricchezza alla collettività. Ma siccome siamo in Italia questa
ricchezza se la debbono incamerare i privati. A questo sembra che punti il
governo Renzi che, non a caso, su questi e su altri argomenti è perfettamente
in linea con Berlusconi, alla faccia della sinistra che lo stesso Pd di Renzi
dice di rappresentare!
L’affare più grosso è rappresentato dall’aeroporto di
Catania, il più importante della Sicilia, destinato a diventare un hub. Non a
caso su questo aeroporto si è già gettato come un falco Ivan Lo Bello, altro
esponente di Confindustria Sicilia vicino a Montante. Chi prenderà il controllo
della Sac - società per azioni oggi controllata dalle Camere di Commercio di
Catania, Siracusa e Ragusa, dall’Istituto regionale per le attività produttive
e dalle Province di Catania e Siracusa - assumerà pure la gestione
dell’aeroporto di Comiso, snodo aeroportuale importante per il flusso turistico
verso il Barocco di Noto, Siracusa e Ragusa e per il trasporto cargo di tutta
l’ortofrutta prodotta nelle serre che, dal Ragusano, arrivano fino a Gela e
Licata.
Un po’ meno importanti - ma non per questo da tralasciare -
gli aeroporti di Palermo e Trapani. Nella Gesap - società che, come ricordato,
gestisce l’aeroporto ‘Falcone-Borsellino’ - troviamo la Provincia di Palermo
come socio di maggioranza, poi il Comune e la Camera di Commercio, sempre di
Palermo. Mentre l’Airgest fa capo per il 49 per cento alla Provincia di
Trapani, per il 2 per cento alla Camera di Commercio, sempre di Trapani, e per
il restante 49 per cento a un gruppo di privati.
Non sfugge agli osservatori che Montante, oltre che
presiedere la Camera di Commercio di Caltanissetta, è presidente
dell’Unioncamere, cioè dell’Unione delle Camere di Commercio della Sicilia. E
le Camere di Commercio, in tutt’e tre le eventuali privatizzazioni delle
società aeroportuali, giocheranno un ruolo centrale. Lo stesso discorso vale
per le Province siciliane, tutte commissariate e gestite dalla stessa Regione,
cioè dall’accoppiata Lumia-Crocetta…
Insomma, i conti tornano. O meglio, cominciano a non tornare
per Lumia, per Montante e per Crocetta. Tre personaggi che hanno fatto fortuna
utilizzando l’antimafia come trampolino di lancio per la politica (e per gli
affari). Ma adesso tutto questo mondo sembra in difficoltà.
Una caduta che non sembra risparmiare nemmeno il numero due
di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, titolare della più grande
discarica della Sicilia in quel di Siculiana, in provincia di Agrigento. Sotto
scacco - non a caso sempre da parte della magistratura - è finita tutta la
gestione dei rifiuti in Sicilia imperniata ancora sulle discariche. Una follia
tutta siciliana che inquina l’ambiente.
Va ricordato che quasi tutte le discariche siciliane non
sono a norma di legge. Nelle discariche non possono essere sotterrati i residui
organici, cioè il cosiddetto ‘umido’ che andrebbe lavorato a parte. Invece in
quasi tutte le discariche siciliane i camion pieni di immondizia entrano,
scaricano e vanno via. Ma questo non si può fare, la legge non lo consente. E
invece si fa. Ma adesso la festa sembra finita.
Non va meglio per la gestione dell’acqua. Tutti in Sicilia
sanno che, in due anni e oltre di legislatura, il Parlamento siciliano, di
fatto, ha bloccato il disegno di legge d’iniziativa popolare per il ritorno
alla gestione dell’acqua pubblica. La mafia, in Sicilia, è sempre stata contro
l’acqua pubblica. Era così ai tempi di Don Calogero Vizzini e Giuseppe Genco
Russo. Ed è così anche oggi che la mafia opera da Bruxelles, imponendo i proventi
delle attività criminali nel calcolo del Pil dei Paesi dell’Unione europea.
La mafia non vuole il ritorno all’acqua pubblica. E la
politica siciliana si sta adeguando alle ‘richieste della mafia che, come
insegna ‘Il Padrino’, in genere, non si possono rifiutare. Questo spiega
perché, proprio mentre scriviamo, mezza Regione siciliana è mobilitata a
bloccare i tentativi di alcuni Sindaci dell’Agrigentino di gestire l’acqua
nell’interesse dei cittadini. Un esempio ‘intollerabile’…
Insomma, tutto il mondo che gira attorno a Lumia, Montante,
Catanzaro, Lo Bello e Crocetta - che è un mondo di politica legata agli affari,
dall’agenzia dei beni confiscati alla mafia alla gestione della burocrazia,
dalle società aeroportuali ai rifiuti, fino all’acqua - in un modo o nell’altro
non sembra più in sintonia con una certa idea di antimafia. La Giustizia da una
parte e i grandi interessi che si scontrano, dall’altra parte, stanno
disegnando in Sicilia nuovi scenari.
BATOSTA PER IL GOVERNO CROCETTA DECRETO-ACCREDITAMENTI
ANNULLATO
Venerdì 30 Gennaio 2015 -
17:27 di Accursio
Sabella
I giudici amministrativi hanno
accolto il ricorso di decine di enti tra cui l'Anfe e lo Ial. Il decreto
dell'assessore Scilabra che stabiliva i requisiti per ottenere i finanziamenti
pubblici è illegittimo: doveva essere deliberato dalla giunta e firmato dal
governatore.
PALERMO - Nuova “bacchettata” del Tar al governo Crocetta.
Una bocciatura che rischia di far esplodere il mondo della Formazione. I
giudici amministrativi hanno dato ragione a una quarantina tra enti e
associazioni che avevano presentato un ricorso contro il decreto che disciplina
gli accreditamenti nel mondo dei corsi professionali. In particolare, nei
confronti del passaggio in cui si prevede la revoca dell'accreditamento in caso
di presenza di contenziosi tra l'ente e la pubblica amministrazione. Un
provvedimento che era apparso fin da subito contrario persino alle regole del
buon senso. Ma i giudici amministrativi sono andati oltre. Bocciando, di fatto,
l'intero provvedimento. Quello sulla base del quale sono stati distribuiti e
sono stati tolti gli accreditamenti agli enti. E il motivo è quasi grottesco:
quel provvedimento, firmato da Nelli Scilabra, doveva invece – stando allo
Statuto – essere sottoscritto dal presidente della Regione. Uno scivolone
clamoroso.
Già alla fine del 2013, il Tar aveva accolto la richiesta di sospensiva avanzata da queste associazioni. Con due distinti ricorsi: uno dell'Anfe Sicilia e di altre associazioni e uno di un nutrito gruppo di enti. Enti che, come detto, si erano opposti contro le norme contenute nel decreto assessoriale del 23 luglio 2013. Si tratta, del provvedimento che elenca i nuovi requisiti per l’accreditamento, strumento utile per poter partecipare alla distribuzione dei contributi pubblici per lo svolgimento dei corsi di Formazione.
In quell’atto, firmato come detto dall'allora assessore Nelli Scilabra, fra le altre cose, si inibiva l'accreditamento a quegli enti che avessero in corso "liti" e contenziosi con l'amministrazione regionale. Ma un primo e più grave vizio di quel decreto sta proprio nel “firmatario”. Quelle disposizioni, infatti, precisano i giudici “hanno la caratteristica della novità, introducendo condizioni, caratterizzate altresì dalla generalità ed astrattezza, ulteriori rispetto a quelle fino a quel momento esistenti l’accreditamento di enti di formazione e per il mantenimento dello medesimo status: in altri termini quelle di cui si discute si atteggiano quali vere e proprie norme di carattere secondario rispetto la disciplina primaria”. Veri e propri regolamenti, quindi, che, stando allo Statuto siciliano “devono essere deliberati dalla Giunta di Governo ed adottati nella forma del Decreto Presidenziale, mentre ai singoli assessori spetta esclusivamente il potere di proporre l’adozione di regolamenti nelle materie di rispettiva competenza. Nel caso di specie – si legge - il decreto oggetto di impugnazione non risulta adottato in conformità al quadro normativo appena richiamato. Conseguentemente lo stesso decreto risulta illegittimo”.
I ricorsi accolti sono due: uno è stato proposto da Asef e Anfop, associazioni che raccolgono diversi enti, assistite dal legale Carlo Comandé. "L'aspetto importante - sottolineano dallo studio Comandé - è che è stato annullato l'intero decreto per effetto di una contestazione preliminare fatta da noi: non doveva essere un decreto assessoriale, ma un decreto del presidente della Regione. Il provvedimento doveva dunque passare da un ok del Cga". L'altro è stato proposto dall'Anfe, dallo Ial e da un'altra ventina di enti (tra questi l'Interefop, il Cufti, l'Anapia, l'Ecap di Agrigento) difesi dagli avvocati Sebastiano Papandrea e Fulvio Ingaglio.
Oltre a una causa di illegittimità legata al mancato rispetto delle norme sul soggetto che ha la potestà di emanare regolamenti, poi, ecco che i giudici entrano nel merito di quel passaggio relativo all'eventuale lite pendente (od anche sopravvenuta) che, spiegano i giudici amministrativi, “non è di per sé indice della inaffidabilità dell’impresa, potendosi la lite chiudere a favore della stessa (con riconoscimento delle relative ragioni). Inoltre, - si legge nella sentenza - è sintomatico della non necessaria finalizzazione alla selezione qualitativa dei partecipanti, il fatto che la clausola in esame individui come fatti ostativi non solo le liti attuali, ma altresì quelle passate”. Una norma non solo incomprensibile, spiegano i giudici, ma anche inutile. Non porterebbe, infatti, alcun vantaggio all'attività amministrativa: “Una simile previsione – si legge infatti - non ha alcuna proiezione sul terreno dell’efficacia dell’azione amministrativa, ma unicamente una evidente ed univoca finalità di penalizzazione, dal momento che l’esercizio del diritto di difesa (principale interesse antagonista a quello dell’amministrazione), di cui all’articolo 24 della Costituzione, sembra costituire un fatto ostativo rispetto alla stipula di contratti con l’amministrazione intimata, anche in relazione a vicende ormai definite ed a rapporti esauriti”. Agli enti, stando a quel passaggio indicato dal governatore, in quei giorni, quasi come un segno della “moralizzazione” in atto nel mondo della Formazione, non sarebbe stato garantito il diritto di difendersi dalla Regione, visto che la conseguenza sarebbe stata quella dell'immediata estromissione dai finanziamenti pubblici. Un ingiustizia. E due errori in uno. La Regione scivola ancora una volta e clamorosamente. Sul terreno insidioso della Formazione siciliana.
L'INCHIESTA SUL FLOP-DAY, ANNA ROSA CORSELLO: "AI
MAGISTRATI HO CONSEGNATO LE CARTE E SPIEGATO TUTTO"
10 OTTOBRE 2014
FORMAZIONE
E LAVORO – La documentazione fornita dall'ex dirigente generale dei
dipartimenti formazione e lavoro della regione siciliana e' adesso al vaglio
della procura della repubblica di palermo
Ci sono volute cinque ore per fare luce sulla gestione dei
tirocini formativi finanziati con le risorse del Piano Giovani e sul flop day
dello scorso 5 agosto.
La dottoressa Anna Rosa Corsello, ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale ha esaminato, davanti ai magistrati
della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, tutti gli
aspetti inerenti l'attuazione del Piano Giovani e, in particolare, i tirocini
formativi 'appaltati' senza gara ad Italia Lavoro, la società del
Ministero del lavoro che in Sicilia sembra aver trovato l' 'America'.
Nel lunghissimo interrogatorio di oggi, i magistrati hanno
focalizzato l'attenzione su alcuni aspetti della vicenda che la dottoressa
Corsello ha puntualmente spiegato nei minimi particolari, supportata dall'ampia
documentazione depositata. Dall'affidamento diretto alle ragioni della scelta
di Italia lavoro e delle altre società esterne alla Regione: Formez, Ett e
Sviluppo Italia Sicilia. Atti amministrativi effettuati dall'Amministrazione
regionale sulla base di un'apposita delibera adottata dalla Giunta regionale di
Rosario Crocetta.
Inoltre, l'ex dirigente generale ha chiarito ai magistrati i
problemi generati dall'utilizzo del sistema informatico che, inceppatosi lo
scorso 5 agosto, ha estromesso dalla candidatura e dall'incrocio con le aziende
decine di migliaia di giovani.
In particolare, la dottoressa Corsello si è soffermata sugli
affidamenti diretti inerenti al sistema informatico Silav creato per gestire le
adesioni dei giovani entro i 25 anni al Piano della Garanzia Giovani Sicilia e
che hanno riguardato il collegamento con il sistema dei Centri per l'impiego. A
tal riguardo, la relazione tra i tirocini e i Centri per l'impiego è strato
oggetto di confronto nel corso del citato interrogatorio.
Lo strumento del tirocinio formativo, lo ricordiamo, è
destinato ai giovani tra i 18 ed e 35 anni che possono usufruire di un periodo
di lavoro presso le aziende che ne fanno richiesta, percependo una somma pari a
500 euro al mese per complessivi 6 mesi. All'azienda è riconosciuto un rimborso
di 250 euro al mese al quale aggiungere un BONUS finale nel caso di assunzione a
tempo determinato che aumenta se il contratto è subordinato.
Sono 2000 i tirocini messi a bando in Sicilia non ancora
assegnati per l'insipienza del Governo regionale. Anche per questo - e non solo
per aver lasciato senza stipendio oltre 8 mila lavoratori della Formazione
professionale - l'assessore Scilabra sarà oggetto di una mozione di censura da
parte dell'Ars.
Il flop-day dello scorso 5 agosto ha paralizzato l'attività
amministrativa. L'Amministrazione regionale sta ancora valutando se validare il
click-day dello scorso 5 agosto e aprire una nuova finestra per garantire
l'accesso ai giovani.
Dalle ultime notizie, pare che 'appatteranno le carte'
assegnando i mille e 600 tirocini ai 'fortunati' che sono riusciti a collegarsi
al discusso sito, in barba ad altre decine di migliaia di giovani che non sono
riusciti a collegarsi. Così avrebbero deciso i soliti Azzeccagarbugli.
Tornando all'interrogatorio, in una nota pervenuta in
redazione, Salvatore Modica, uno dei legali della dottoressa Anna Rosa
Corsello riferisce che l'interrogatorio, richiesto dall'ex dirigente generale
dei dipartimenti Lavoro Formazione professionale si è svolto in un clima di
assoluta serenità e di massima collaborazione, senza che venissero mosse
specifiche accuse.
La dottoressa Corsello, prosegue la nota, ha fornito ampie
e dettagliate spiegazioni in ordine agli articolati passaggi tecnici
che connotano le vicende oggetto di indagine, inchiesta condotta da
magistrati attenti e rigorosi sui quali l'ex dirigente generale ripone massima
stima e fiducia farà il proprio corso.
"Ho avuto ieri pomeriggio alle 15,30 l'incontro da me
richiesto e mi sono presentata accompagnata dai miei legali - racconta al
giornale la dottoressa Corsello -. L'incontro si è svolto all'insegna
della massima collaborazione e cordialità - aggiunge - ho fornito i chiarimenti
per i quali avevo chiesto di essere sentita ed ho depositato gli atti inerenti
la procedura amministrativa".
"Nulla mi è stato contestato o addebitato - ci dice
l'ex dirigente generale dei dipartimenti Lavoro e Formazione professionale - e
non ho mosso accuse nei confronti di alcuno, limitandomi a spiegare gli atti
che producevo".
"Ci sono volute cinque per consentire ai magistrati di
verbalizzare i chiarimenti - sottolinea l'ex dirigente generale dei
dipartimenti Formazione e Lavoro - esclusivamente inerenti le procedure
amministrative che hanno riguardato il mio operato".
"Sono serena - conclude la dottoressa Corsello - e mi
rimetto alle valutazioni dei magistrati che mi hanno seguita con molta
attenzione".
L'AMARO/ LUMIA COME SCHOPENHAUER: IL MONDO È COME LO VEDI
24 SETTEMBRE 2013
POLITICA –
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani? non è che con la fretta di
giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi, prendiamo qualche abbaglio?
il dubbio irrompe all'improvviso. A generarlo sono le parole pronunciate da
beppe lumia, senatore del pd a roma, promotore de il megafono in
sicilia, nonché regista del governo crocetta insieme con la lobby dei
"professionisti dell'antimafia" di confindustria sicilia, nel corso
della direzione regionale del pd, ancora in corso al san paolo palace di
palermo.
Non è che sottovalutiamo i politici siciliani?
Non è che con la fretta di giudicarli quali ascari, tiranni ed affaristi,
prendiamo qualche abbaglio? Il dubbio irrompe all'improvviso. A
generarlo sono le parole pronunciate da Beppe Lumia, Senatore del Pd a
Roma, promotore de il Megafono in Sicilia, nonché regista del Governo
Crocetta insieme con la lobby dei "professionisti dell'antimafia" di
Confindustria Sicilia, nel corso della direzione regionale del Pd, ancora in
corso al San Paolo Palace di Palermo.
Il Senatore, con la
sua capacità oratoria, ha ricordato a tutti un grandissimo filosofo:
Arthur Schopenhauer e la sua opera somma: "Il
mondo come volontà e rappresentazione". Di che si
tratta? Detto in maniera molto rozza (non abbiamo la saggezza degli
esponenti del Megafono), in questo capolavoro dell'intelletto umano, il
filosofo tedesco sostiene che ognuno di noi percepisce la realtà che vuole. E,
in effetti, Lumia, nel suo intervento parla di cose che, evidentemente,
percepisce solo lui:
"Questo e' un partito che si
isola dalla stampa nazionale e mondiale, che vede con simpatia un Presidente
per la prima volta davvero in grado di rompere col passato. I
cittadini siciliani, i giornali, l'opinione pubblica, la classe dirigente
nazionale del partito vedono il presidente Crocetta come una grande
risorsa"ha detto dinnanzi ad una platea inferocita che ha votato il
documento del segretario regionale del Pd, Giuseppe Lupo, che propone
l'abbandono della Giunta Crocetta.
Ma che giornali legge Lumia? Di
quale opinione pubblica parla? E, soprattutto, dove vive? In Sicilia, a quanto
ci risulta, si parla di un Governo che si era
presentato come rivoluzionario, e che invece si è piegato ai diktati di quattro
affaristi, peraltro non eletti, e si è inchinato dinnanzi a quelli degli
apparati ministeriali romani legati alle oligarchie finanziarie dell'Ue. Altro
che popolo Siciliano...
Forse, il Senatore dal doppio partito,
non ha letto la seconda parte dell'opera del filosofo tedesco. Dove spiega che
vero è che la realtà fenomenica è come c'è la rappresentiamo ma
che tra noi e la vera realtà è come se vi fosse uno schermo che ce
la fa vedere distorta e non come essa è veramente: il velo di Maya di cui parla
la filosofia indiana, alla quale Schopenhauer spesso si rifà.
Il 21 Settembre scorso,
ricorreva l'anniversario della morte del filosofo tedesco, datata 1860.
Non è da escludere che il suo spirito stia vagando proprio in questi giorni
nell'Universo, e che magari, si è fermato anche al San
Paolo Palace hotel. Ma solo per pochi secondi.
12 luglio 2013 - 20:29
Nuova puntata sul gruppo di Potere Crocetta-Lumia-Lo Bello-Montante che
domina in Sicilia. Nel silenzio della stampa. E mentre Fontanarossa, in mano a
Confindustria, rischia di essere svenduta a imprenditori amici, la zona
industriale di Catania, retta sempre da Confindustria, va in malora. Nella
giunta Bianco, è stato Giuseppe Lumia a convincere l’ing. Luigi Bosco, ad
accettare l’incarico assessoriale in giunta. Bosco, si è notato subito, ha
differenze di vedute con il sindaco su Corso dei Martiri, una megaoperazione immobiliare al centro
di Catania, che potrebbe cambiare il volto della città per i
prossimi decenni. Senza dimenticare l’Irsap che significa zone industriali, uno dei numerosi
obiettivi nel mirino della «lobby dei quattro» che continua, grazie
al decisivo ruolo del governatore di Sicilia, a tessere le fila di
un’occupazione militare di posti e luoghi determinanti per le sorti dell’Isola,
di Marco Benanti
PENTITI
CONTRO LEADER DI CONFINDUSTRIA: MONTANTE INDAGATO PER MAFIA
A suo
carico, secondo il quotidiano la Repubblica, vi sarebbero un’inchiesta della
procura di Caltanissetta e una dell’ufficio inquirente di Catania. Originario
di Serradifalco, l’imprenditore e’ titolare dell’omonima fabbrica di biciclette
fondata negli anni ’20 del secolo scorso, e’ presidente della Camera di
Commercio nissena e il 20 gennaio scorso è stato designato – su proposta del
ministero dell’Interno – componente dell’Agenzia nazionale per i beni
confiscati
È il delegato per la Legalità di Confindustria, e ha guidato gli
imprenditori siciliani nella rivoluzione contro il racket e contro Costa
Nostra. Risulta però coinvolto anche in un’indagine di mafia della procura di
Caltanissetta. Un vero e proprio paradosso, quello di Antonello
Montante, presidente di Confindustria Sicilia, che, secondo
l’edizione odierna di Repubblica,sarebbe
sotto inchiesta per reati di mafia da parte della Procura nissena. Un’inchiesta
top secret quella su Montante, indicato pochi giorni fa dal ministero dell’Interno come
componente dell’Agenzia dei beni confiscati, che gestisce le proprietà immobiliari
confiscati ai boss di Cosa Nostra.
A suo carico, sempre secondo il quotidiano diretto da Ezio
Mauro, ci sarebbero le dichiarazioni di tre collaboratori di giustizia. Uno è Salvatore Dario Di Francesco, mafioso
di Serradifalco, lo stesso paese di Montante. Arrestato un anno fa dalla
Squadra Mobile , Di Francesco ha iniziato a raccontare di appalti pilotati
nella zona e in particolare al Consorzio Asi, l’area di sviluppo industriale,
dal ’99 al 2004. Di Francesco è stato definito
‘’il collettore tra esponenti di Cosa nostra e i colletti bianchi della
provincia’’. Il pentito è “compare” del mafioso di Serradifalco Vincenzo Arnone (il padre di
quest’ultimo, Paolino
Arnone era un
boss di Cosa nostra e si suicidò nel carcere nisseno di Malaspina nell’autunno
del ’92 dopo una retata), che è stato compare
di nozze di Montante.
Una notizia già resa pubblica lo scorso anno dalla rivista I Siciliani Giovani:
in rete venne diffusa una foto di Montante
insieme a Vincenzo Arnone nella sede di Assindustria nissena, scattata negli anni Ottanta, ma anche il certificato di nozze di un
giovanissimo Montante – aveva solo 17 anni – insieme ai quattro testimoni. Due
erano proprio Paolino
e Vincenzo Arnone. Anche
queste lontane conoscenze, a quanto pare, sono confluite nell’indagine,
rappresentata soprattutto dalle dichiarazioni del pentito Di Francesco. Il
leader di Confindustria ha spiegato che le sue frequentazioni con Arnone, altro
non erano che legami dovuti alla comune origine paesana legata a Serradifalco.
È dalla piccola cittadina in provincia di Caltanissetta che
parte la scalata imprenditoriale dei Montante, attivi già dagli anni venti con
una fabbrica di biciclette. Un marchio storico rilanciato da Antonello Montante, che è anche fondatore della Msa, Mediterr
Shock Absorbers spa,
un’azienda di ammortizzatori per veicoli industriali con sedi in tutto il
mondo. Poi l’imprenditore nisseno inizia ad impegnarsi anche in Confindustria:
nel 2008, insieme al suo predecessore Ivan Lo Bello, è stato
tra gli artefici del codice etico e della svolta anti racket degli industriali
siciliani. Un “nuovo corso” che molti hanno definito come la “rivoluzione
antimafia” dell’Isola, dato che parallelamente alle denunce contro il pizzo,
gli industriali emarginarono alcuni ex leader di Confindustria considerati
vicini ai clan: primo tra tutti Pietro Di Vincenzo, condannato in via
definitiva a nove anni per estorsione.
“No comment, altro non posso aggiungere”. E’ quanto si è
limitato a dire all’Adnkronos il Procuratore di Caltanissetta Sergio Lari,
interpellato sull’inchiesta per mafia a carico del Presidente di Confindustria
Sicilia Antonello Montante. L’industriale sotto indagine è
considerato vicino a molti magistrati delle procure siciliane che in
questi ultimi anni hanno creduto alla ‘’rivolta antimafia’’ dell’imprenditoria
siciliana, e la sua ‘’cordata’’ ha
avuto un ruolo importante nell’elezione di Rosario
Crocetta a Palazzo d’Orleans. Proprio
per questo l’indagine a suo carico suscita un notevole scalpore negli ambienti
politici e finanziari dell’Isola. Ora che alcuni pentiti parlano delle sue
‘’pericolose frequentazioni’’, come scrive La
Repubblica, i casi sono due: o qualcuno ha voluto
ordire una trama per infangare il simbolo di una Sicilia che vuole cambiare,
oppure è arrivato il momento di riflettere sui possibili ‘’travestimenti dell’Antimafia’’.
NICOLÒ
MARINO: LA MIA LOTTA CONTRO L’AFFAIRE “MONNEZZA”
Praticamente Montante, siccome avevo
scritto una nota nei confronti di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende
posizione contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello
sta zitto. Alla fine si calmano le acque, l’indomani mattina mi vedo a Tusa con
Crocetta e gli dico: “Rosario, non puoi consentire una cosa del genere”. E
Crocetta? “Cambiò discorso”. Ma perchè l’ha nominata assessore? “Sono convinto
che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando
era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse
controllarmi”
di Luciano Mirone
11 novembre 2014
Dopo sette mesi dal suo siluramento
punta il dito contro il governatore Rosario Crocetta, contro i vertici
di Confindustria Sicilia – ovvero il vice presidente Giuseppe
Catanzaro e il presidente Antonello Montante –, contro il vice
presidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello, contro il senatore
del Pd Giuseppe Lumia, contro alcuni funzionari regionali che avrebbero
“firmato atti palesemente illegittimi”. Tante le accuse: dal rilascio delle
autorizzazioni alle “manovre messe in atto per evitare la realizzazione delle
piattaforme pubbliche per favorire le discariche private, specie quella
di Siculiana (Agrigento), gestita dal vice presidente di
Confindustria Sicilia”.
Detto e sottoscritto
da Nicolò Marino, ex assessore del Governo Crocetta con delega
ai Rifiuti, all’Acqua e all’Energia, dal 12 dicembre 2012 al 14
aprile scorso.
Oggi Marino rompe un
lungo silenzio e in questa intervista spiega molti retroscena legati allo
scandalo della spazzatura nell’isola. “Non sappiamo cosa c’è dentro le nostre
discariche e nel nostro sottosuolo, potrebbero anche esserci rifiuti
pericolosi: in questi anni non è stato controllato nulla né dall’Arpa, né dalle
Province. Un affare gigantesco come questo non poteva lasciare indifferente la
criminalità organizzata, che a Mazzarrà Sant’Andrea, per esempio, ha scaricato
l’immondizia della Campania”.
È un fiume in piena l’ex
magistrato. “Non voglio che passi il messaggio (come il presidente Crocetta ha
cercato di fare anche in questi giorni) di essermi occupato, durante il mio
mandato, solo della discarica di Siculiana per un pregiudizio nei confronti di
Giuseppe Catanzaro, trascurando quelle di Mazzarrà Sant’Andrea (nei giorni
scorsi sottoposta a sequestro preventivo) e di Motta Sant’Anastasia (anche
questa formalmente chiusa)”. Un’accusa che Marino respinge al
mittente proprio nei giorni in cui – con le inchieste della magistratura e
della Commissione nazionale antimafia – i nodi dell’“affaire
spazzatura” stanno venendo al pettine.
“La verità –
dice Marino – è che mi sono occupato a trecentosessanta gradi del
ciclo dei rifiuti, cercando delle soluzioni finalizzate al risparmio e al bene
comune”.
A difendere l’ex assessore
scendono in campo i sindaci di Furnari, Mario Foti, e di Misterbianco, Nino
Di Guardo, che da anni lottano per la chiusura degli impianti di Mazzarrà e di
Motta: “Crocetta – dichiarano all’unisono – ha buttato fuori l’ex assessore
Marino che stava portando avanti una seria azione di rinnovamento e di
trasparenza”.
“Va ricordato al presidente
Crocetta – afferma Marino – che una delle più grosse autorizzazioni
rilasciate (3 milioni di metri cubi di volume) è stata concessa nel 2009 a
favore della discarica del vice presidente di Confindustria Sicilia”.
E poi: “Catanzaro è il primo
imprenditore dell’isola a sferrare l’attacco più grave al governo Crocetta.
Quando? Quando ottenemmo il decreto legge dal governo Monti per l’emergenza
rifiuti. Al momento della conversione in legge, Catanzaro scrive, in qualità di
vice presidente di Confindustria Sicilia, al presidente della Commissione ambiente
del Senato, Marinello, sostenendo che non bisognava convertire in legge la
parte di rifiuti relativa all’impiantistica, cioè alle discariche, in quanto le
esperienze del passato avevano dimostrato che l’emergenza era stata la breccia
tramite la quale erano entrati gli interessi mafiosi. Il problema è che
Catanzaro aveva avuto un’autorizzazione illegittima, e si era inserito nella
gestione della discarica di Siculiana approfittando di quell’emergenza rifiuti
che lui stesso aveva stigmatizzato. In pratica Catanzaro ha sferrato un attacco
al Governo Crocetta, ma è stato protetto dallo stesso Crocetta con
dichiarazioni pubbliche anche a mio danno”.
Perché Crocetta difende Catanzaro
e attacca Marino?
“Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione siciliana. Il governatore non vive bene la presenza di personaggi che oscurano la sua immagine. Mantenendo la mia autonomia l’ho messo in crisi”.
Perché, dottor Marino, lei accusa
anche il presidente di Confindustria?
“Mentre sono ancora assessore mi chiama il senatore del Pd Beppe Lumia, e mi dice: ‘
Quando vieni a Palermo?’.
‘Domani’.
‘Assolutamente no, ci dobbiamo
vedere stasera’.
‘Beppe, sono a Catania, non
posso’.
‘Allora
veniamo noi: io, Antonello Montante e Ivan lo Bello’.
L’incontro avviene all’hotel
Excelsior di Catania. Montante esordisce così:
‘Se vuoi fare la guerra a colpi
di dossier io sono pronto, la devi smettere di mandare in giro Ferdinando
Buceti (mio capo di Gabinetto ed ex vice Questore della Polizia di Stato,
nonché appartenente alla Dia di Caltanissetta) ad acquisire informazioni sul
mio conto’.
Gli rispondo: ‘Sei veramente
fuori di testa. Non ho bisogno di mandare persone in giro per saperne di più su
di te, sono sufficientemente informato. Non ti permettere di fare insinuazioni
di questo tipo’.
Praticamente Montante, siccome avevo scritto una nota nei confronti
di Catanzaro sull’emergenza rifiuti, prende posizione
contro di me per difendere l’amico. Lumia cerca di mediare, Lo Bello sta zitto.
Alla fine si calmano le acque,
l’indomani mattina mi vedo a Tusa con Crocetta e gli dico:
‘Rosario, non puoi consentire una
cosa del genere”.
E Crocetta?
“Cambiò discorso”.
Cosa avvenne a seguito della sua
inchiesta?
“Il direttore generale del dipartimento Territorio e Ambiente, dott. Gaetano Gullo, scrisse che la situazione di Siculiana e di Motta era regolare. La cosa assurda è che questo signore, che ritengo assolutamente incapace e inadeguato per svolgere le funzioni conferitegli, rimanga ancora al suo posto nonostante le mie sollecitazioni a Crocetta di sollevarlo dall’incarico”.
Qual è il ruolo del senatore
Lumia?
“Ha sempre sponsorizzato Catanzaro, anzi, direi che Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”.
Perché Crocetta la nomina
assessore?
“Me lo chiedo anch’io. Sono convinto che Crocetta fosse certo che tramite Lumia (con il quale ero in sintonia quando era vice presidente della Commissione parlamentare antimafia) potesse controllarmi”.
Un’operazione di facciata?
“Alla luce di questi fatti, direi proprio di sì”.
12 novembre 2014
RIFIUTI,
MONTANTE E LO BELLO QUERELANO NICOLÒ MARINO
Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale
dell’organizzazione industriale “hanno dato mandato ai loro legali di
denunciare il dottor Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro
giornale e sul quotidiano La Sicilia
di Luciano Mirone
È guerra aperta fra i vertici di Confindustria e l’ex assessore ai Rifiuti del Governo Crocetta, Nicolò Marino.
Il vicepresidente nazionale e il presidente regionale dell’organizzazione
industriale, rispettivamente Ivan Lo Bello e Antonello
Montante, “hanno dato mandato ai loro legali di denunciare il
dott. Marino, in relazione alle interviste” apparse sul nostro giornale e sul quotidiano La Sicilia,
“rinvenendosi nelle stesse contenuti gravemente diffamatori e minacciosi, oltre
che riferimenti a fatti e circostanze fantasiosamente ricostruite e
completamente destituite di ogni fondamento”.
La nota diffusa dall’ufficio stampa di Confindustria Sicilia fa riferimento a un’intervista apparsa
nei due quotidiani, in cui l’ex assessore regionale ai Rifiuti, all’Acqua e
all’Energia accusava soprattutto il vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro di essere stato
destinatario, secondo l’ex magistrato, “di una serie di autorizzazioni
illegittime per la discarica di Siculiana (3 milioni di metri cubi di volume),
che lo stesso Catanzaro gestisce”.
A parere di Marino,
sarebbero state messe in atto delle “vere e proprie manovre per evitare la
realizzazione delle piattaforme pubbliche (specie quella prevista a Gela) per favorire la discarica di Siculiana, che perderebbe buona parte del suo fatturato attuale”. Marino nell’intervista tira in ballo il
governatore della Sicilia Rosario Crocetta,
“protettore di Catanzaro”, ma anche il senatore del Pd Beppe
Lumia (“ha sempre
sponsorizzato Catanzaro”), nonché i vertici di Confindustria Lo Bello e Montante,
sostenendo che “Lumia, Catanzaro e Montante sono la stessa cosa”. Motivo? “Crocetta ha goduto degli appoggi di
Confindustria come sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente
della Regione siciliana”.
Un’intervista durissima quella rilasciata ieri da Marino, dopo sette mesi di “guerra
fredda” fra lui e il presidente della Regione, dopo il siluramento subito
dall’ex magistrato da uno degli assessorati più delicati di Palazzo d’Orleans.
A difendere l’operato dell’ex assessore ai Rifiuti, in questi giorni sono scesi in campo il sindaco di Misterbianco, Nino Di Guardo, e di Furnari, Mario Foti, che da anni lottano per
la chiusura delle discariche di Motta Sant’Anastasia e di Mazzarrà Sant’Andrea:
“Crocetta ha buttato fuori l’ex assessore Marino che stava portando avanti una
seria azione di rinnovamento e di trasparenza”.
La replica dei vertici di Confindustria Lo Bello e Montante non si è fatta attendere. Silenzio,
Sul caso è intervenuto anche il senatore Lumia:
“È singolare che l’ex assessore all’Energia e ai Rifiuti della Regione
Siciliana Nicolò Marino dedicava e continua a dedicare gran parte del suo tempo
ad attaccare pubblicamente quegli imprenditori del settore che hanno denunciato
Cosa nostra. Contro la mafia dei rifiuti, invece, Marino non ha mai detto
nulla. Nessuna valutazione, nessun giudizio”, ha dichiarato Lumia. “Per quanto mi riguarda –
aggiunge – mi sono sempre schierato dalla parte di quegli imprenditori che
rischiano la vita e che con Confindustria Sicilia hanno fatto una scelta
storica e senza precedenti contro Cosa nostra. Con questa Confindustria si
dialoga e ci si confronta, con la mafia dei rifiuti no, anzi la si aggredisce”.
“Col presidente Crocetta – spiega – non siamo mai entrati nel merito delle
scelte amministrative e di gestione dei rifiuti fatte da Marino, ma non
potevamo stare zitti e fermi di fronte a questo suo modo scellerato di
attaccare l’impresa sana. Semmai sono note le nostre opinioni a favore delle
discariche pubbliche e contro il proliferare di quelle private”. “Quindi –
conclude Lumia – Marino dovrà dar conto delle sue
affermazioni, non solo sul piano giudiziario ma anche dell’etica pubblica”.
MONTANTE INDAGATO PER MAFIA. E IVAN LO BELLO RESTA
SOLO?
La notizia è “il Presidente di
Confindustria Sicilia Antonello Montante indagato per mafia”. Sarà la
magistratura a stabilire la verità, ma è tutto come un “deja vu”.
Su “L’Ora Quotidiano” del 9
Febbraio 2015: “Pentiti contro leader di Confindustria: Montante indagato per
mafia“.
Una notizia bomba. Antonello Montante, infatti, oltre ad
essere il Presidente di Confindustria Sicilia, è:
Delegato nazionale di Confindustria per i problemi della
legalità;
Componente dell’Agenzia Nazionale per i beni confiscati alla
mafia (su designazione del Ministero dell’Interno);
Presidente della Camera di Commercio di Caltanissetta;
Presidente di Unioncamere Sicilia
È del novembre 2014 l’altra accusa. Quella che il magistrato Nicolò Marino mosse ai vertici di Confindustria
siciliana. La questione era legata alla gestione dei rifiuti e il dito era
puntato sul vice presidente di Confindustria Sicilia, Giuseppe Catanzaro, ma
non solo.
Marino ha indicando ciò che a suo parere
costituisce un sistema di potere e di collusioni formato
da Montante, Lo Bello, Lumia (senatore PD. Poteva mancare il PD?),
Catanzaro e lo stesso Presidente della Regione Siciliana Crocetta.
Crocetta ha goduto degli appoggi di Confindustria come
sindaco di Gela, come parlamentare europeo e come presidente della Regione
siciliana.
Montante e Lo Bello hanno prontamente querelato
Nicolò Marino che, però, pare non essersi affatto intimidito.
Anzi, ha rincarato la dose.
Questa Amministrazione – scrive
Marino – è ben a conoscenza che nel lontano 1995 la Catanzaro Costruzioni
s.r.l. ebbe ad aggiudicarsi il servizio per la gestione della discarica di
Siculiana in ATI con la FORNI ed Impianti industriali Ing. De Bartolomeis
S.p.a. di Milano (l’unica in possesso dei requisiti per la partecipazione
alla gara), questa ultima coinvolta successivamente nell’inchiesta “TRASH”
della DDA di Palermo, per vicende connesse alla turbativa d’asta in gare per
discariche, depuratori ed altri impianti di smaltimento, inchiesta culminata
finanche nell’arresto del suo direttore generale, Massimo Tronci, per il reato
di associazione per delinquere di stampo mafioso, risultato in rapporti di
affari con RIINA Salvatore, BUSCEMI Antonio, LIPARI Giuseppe, VIRGA
Vincenzo, NANIA Filippo, BRUSCA Giovanni e SIINO Angelo1
Per inciso, Siculiana è in
provincia di Agrigento. Provincia di Giuseppe Catanzaro, ma anche del Ministro
dell’Interno Angelino Alfano, lo stesso che ha nominato Montante all’Agenzia
Nazionale dei beni confiscati alla mafia.
Montante indagato per mafia. Mah!
A proposito dell’incarico conferito da Angeli Alfano, ci
sarebbe pure quel piccolo problema sul conflitto di interessi:
È giusto insomma che uno dei membri del consiglio direttivo
dell’Agenzia che assegna i beni confiscati alle mafie sia anche uno dei più
influenti soci di un ente che ha tra le sue finalità la gestione dei beni
confiscati a Cosa Nostra?
Strano destino, quello di Confindustria Sicilia.
Oggi abbiamo Montante indagato per mafia, ma dei vertici di
Confindustria Sicilia ebbe già ad interessarsi la Commissione nazionale
Antimafia degli anni ’70 che, in diverse pagine, menziona l’ing. Domenico
(Mimì) La Cavera, l’allora Presidente di Confindustria Sicilia.
I suoi rapporti con l’ineffabile avvocato Vito
Guarrasi di Palermo2 .
Strano tipo, Vito Guarrasi. Imparentato con Enrico Cuccia(Mediobanca).
Definito “il vero boss”, “l’avvocato dei misteri”.
Per il giudice Calia presenziò perfino alla sottoscrizione
del trattato di Cassibile, rappresentando gli interessi della mafia.
Amici inseparabili, lui e La Cavera. Insieme e con il
deputato comunista Emanuele Macaluso furono i fautori e i sostenitori
della “stagione del milazzismo” in Sicilia3
Silvio Milazzo, dopo le elezioni, il 12 agosto 1959 formò un
secondo governo, dove però non entrò più il MSI. Questo secondo governo ebbe
allora un sostegno variegato, dalle sinistre, ai monarchici, ai vertici
di Sicindustria, allora guidata da Domenico La Cavera che già
aveva rotto con Confindustria, fino ad esponenti vicini alla mafia.
La Cavera ebbe relazioni anche con l’altro (oltre lo stesso
Guarrasi) grande attore del “Caso Mattei”, Graziano Verzotto, e con lo
stesso Enrico Mattei.
È stato uno dei promotori insieme a Vito Guarrasi e Graziano
Verzotto della Sofis (ente pubblico siciliano nato nel 1957) di cui fu nominato
direttore. Il suo nome compare nelle relazioni compiute dalla Commissione
parlamentare antimafia negli anni ’70.
Ma i suoi affari in contiguità con la mafia andavano oltre:
Fu amministratore delegato della SIRAP, (società controllata
dall’ESPI), coinvolta nell’indagine su Angelo Siino, il gestore degli
affari economici di Cosa Nostra
Antonello Montante e Ivan Lo Bello per Domenico La Cavera
erano “i ragazzi”.
Montante e Lo Bello (e Catanzaro)
son sempre andati d’amore e d’accordo. Sicilia ovest al primo e Sicilia
est al secondo.
Presidenza della Camera di Commercio di Caltanissetta al
primo, quella di Siracusa al secondo.
Altre grandi Camere di Commercio siciliane (Catania e
Messina) – ma anche Enna, ad esempio – sono tenute dal Governo Crocetta in
condizione di commissariamento di dubbia legittimità.
Antonello Montante indagato per mafia. Si stenta a crederlo!
Dice il deputato regionale siciliano Leanza4
Lo Bello e Montante? Sono i padroni
della Sicilia
Solo ultimamente, secondo alcune voci, si sarebbero creati
dissapori tra loro, ma lingue ancor più malevole sostengono che sia tutto
“teatro”. In ballo ci sono gli accorpamenti delle Camere di Commercio
siciliane e con essi la gestione delle (s)vendite degli aeroporti siciliani.
E adesso ci si ritrova Antonello Montante indagato per
mafia.
A CURA DEL COMITATO CITTADINO ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE
FEMMINE
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