MAFIA: OMICIDIO D'AGOSTINO, DIA
ARRESTA GIUSEPPE SENSALE
Palermo, 12 dic. 1998 -(Adnkronos)- Il centro operativo di Palermo
della Direzione Investigativa Antimafia ha arrestato il cinquantanovenne
Giuseppe Sensale, originario di Capaci (Pa). L'arresto e' avvenuto in
esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa il 5
dicembre scorso per l'omicidio e la distruzione del cadavere dell'imprenditore
Vincenzo D'Agostino, scomparso a Palermo il 3 dicembre del 1991. Secondo le
dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, D'Agostino sarebbe stato
ucciso a Capaci nel deposito di carburante di Sensale. Il cadavere sarebbe
stato poi sciolto nell'acido all'interno di una baracca.
Il provvedimento di custodia
cautelare e' stato notificato in carcere ad altre cinque persone, attualmente
detenute: Salvatore Biondino, Salvatore Biondo, Antonino Troia, Giovanni
Battaglia e Simone Scalici, considerati elementi di spicco di alcune famiglie
mafiose del palermitano.
Gia' indagato per associazione a
delinquere di tipo mafioso ed arrestato nel 1993, Giuseppe Sensale era stato
scarcerato il 9 luglio scorso in seguito ad una sentenza di assoluzione della
Corte d'appello di Palermo.
(Sin/Gs/Adnkronos)
«La crisi consiste precisamente
nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non può ancora nascere»
(Antonio Gramsci)
Mafia, sequestro di beni a Capaci
“Quel costruttore è un prestanome”
I
beni di un imprenditore edile in
odor di mafia sono finiti sotto sequestro. Il provvedimento dei giudici della sezione
misure di prevenzione colpisce il patrimonio di Giuseppe Sensale, 60 anni di
Capaci, noto alle forze dell'ordine per storie legate a Cosa nostra e sul quale
adesso hanno indagato i finanzieri del
Gico. Il provvedimento della magistratura, sollecitato dalla Procura,
colpisce le società «Angela » e «
Nafedil», quattro fabbricati e un magazzino che si trovano in via Florio a Capaci. Roba del valore complessivo
di un miliardo e 600 milioni in base
alle stime delle fiamme gialle, che Sensale avrebbe accumulato illecitamente.
Gli investigatori avrebbero
accertato una sproporzione tra gli acquisti dell'imprenditore e i redditi
dichiarati, arrivando alla conclusione, anche sulla base delle indicazioni di
alcuni collaboratori dì giustizia, che l'uomo sarebbe un prestanome della «f
ami glia» di Partanna Mondello. A detta
dei finanzieri, il costruttore sarebbe
legato «al clan dei Carollo e avrebbe fatto
da prestanome alle famiglie Cusumano
e Riccobono».
I guai giudiziari per Giuseppe
Sensale, che è detenuto, erano cominciati nel '93, quando era stato arrestato
per associazione mafiosa. Un'accusa per la quale l'uomo era rimasto cinque anni
in carcere ottenendo, poi, dopo un lungo iter giudiziario, l'assoluzione. Uscito diprigione,
l'imprenditore era finito di nuovo in manette nel dicembre del 98, nell'ambito
di un blitz della Dia sul l'omicidio dell'imprenditore
Vincenzo D'Agostino, che il 3 dicembre del '91 venne strangolato e sciolto nel
l'acido. Un'esecuzione che, secondo l'accusa, avvenne in un magazzino dì Capaci
gestito proprio da Gìuseppe Sensale. A
parlare della vicenda furono i collaboranti Francesco Onorato e Giovan
Battista Ferrante, secondo i quali sarebbe stato Sensale ad attirare
l'imprenditore nella trappola preparata dai boss di Cosa nostra.
Già in passato altri beni
dell'imprenditore di Capaci erano fíniti
sotto sequestro, tra i quali una cava in
territorio di Cinisi. Ma Sensale, assistito
dall'avvocato Maurizio Bellavista, si è sempre opposto contro i provvedimenti.
Sostenendo di aver costruito il suo patrimonio grazie al lavoro e che, vista la
sentenza di assoluzione dall'accusa di appartenere a Cosa nostra, non ci sono i
presupposti di legge per colpire il patrimonio. « Il mio assistito è stato assolto
dall'accusa di associazione mafiosa -
afferma l'avvocato Bellavista - ma
nonostante questa pronuncia è stato anche avviato il procedimento di confisca dei beni. Un provvedimento
contro il quale abbiamo presentato ricorso».
Virgilio Fagone
EMEROTECA ASSOCIAZIONE MESSINESE
ANTIUSURA ONLUS
UN
SUCCOSO BUSINESS
SALVO
LIMA PREMEVA SU SIINO PERCHÉ QUESTI APRISSE LA PORTA DEL CIRCUITO SICILIANO
DEGLI APPALTI PUBBLICI AGLI IMPRENDITORI VICINI ALLA SINISTRA
La svolta con la partecipazione
del PCI alla spartizione degli appalti in forma continua, a Milano come a
Palermo, risale alla metà degli anni ‘80. La DC siciliana, nelle persone di
Lima e Ciancimino, affidarono all’ex pilota di rally Angelo Siino il compito di
orchestrare i cartelli delle imprese a cui assegnare gli appalti pubblici. Siino era un borghese che di mafiosi ne
conosceva tanti, fratello massone della loggia Orion di Palermo, imparentato
con il boss Balduccio Di Maggio, amico dei Brusca di San Giovanni Jato. Il
meccanismo in Sicilia prevedeva che, per ogni appalto assegnato, l’azienda
versasse una imposta del 4,5 per cento così suddivisa: 2 per cento ciascuno a
boss e politici e uno 0,5 destinato a lubrificare gli impiegati e funzionari
della macchina burocratica. Una oliatina agli ingranaggi questa, perché
imbarazzanti pratiche uscissero indenni ad ogni controllo. L’organizzazione gestita da Siino e Lima
divennne sempre più capillare, per assumere sul finire degli anni ‘80, il
controllo dell’intera isola. Per avere una idea degli esiti di tale meccanismo,
basti pensare che nel decennio ‘88-’98, 60 ditte rispondenti a 11 imprenditori,
si accaparrarono il 40% degli appalti Anas, pari a una fetta di circa 350
miliardi di vecchie lire, su di una torta di 880. Il restante 60% del giro di
affari era spartito da ben 500 imprese. Un imprenditore che protestava o sgarrava poteva se
fortunato, subire intimidazioni o rimanere escluso dal susseguente giro di
giostra, ma in taluni casi si arrivava alla sua eliminazione, come accadde nel
1991 al
costruttore Vincenzo D’Agostino, invitato da amici in un casolare di campagna a
trascorrere un weekend, strangolato e sciolto nell’acido. Salvo Lima premeva su Siino perché questi
aprisse la porta del circuito siciliano agli imprenditori vicini alla sinistra
ed i primi a varcarla furono i fratelli Stefano ed Ignazio Potestio,
costruttori legati da tempo a doppio filo con il Pci. L’ingresso anche delle
cooperative rosse era imminente e Siino trattò, di li a poco, con Pietro
Martino, rappresentante Conscoop in Sicilia. Fu il primo passo di una
estensione del fenomeno in molti angoli dell’isola. Nel mirino la costruzione di strade, super
strade, tangenziali, ospedali, scuole, strutture sportive.
Queste nuove collaborazioni
servirono per accrescere il giro di miliardi che sarebbe affluito verso
l’isola
ma, soprattutto, per costruire una vera e propria copertura a sinistra,
coinvolgendo nelle operazioni illecite forze politico economiche di riferimento
alla maggiore opposizione antimafia. Una svolta di questa natura era destinata
a suscitare acuti mal di pancia su entrambi i fronti.
Molti dirigenti comunisti erano contrari
ad avvicinarsi così pericolosamente a tali compromettenti soggetti ma, purtroppo,
questi assennati consigli furono destinati a cadere nel vuoto. Dall’altra parte,
a molti mafiosi l’umore si anneriva al pensiero di accettare gli odiati rossi quali soci in
affari: il Pci era il fresco artefice della poltrona saltata a Vito Ciancimino.
Tra questi, il rozzo e
sanguinario Totò Riina sarebbe stato uno dei più ostici, e difatti nella sua
Corleone la direttiva rimase praticamente inascoltata. Senza aver nulla da
invidiare in fatto di crudeltà, molto diverso sarebbe stato l’atteggiamento di
Bernardo Provenzano. Egli si rivelò un sottile politico, un abile stratega, un
fine ragioniere. “Zio Binu” comprendeva quanto i soci comunisti sarebbero stati
preziosi nel mascherare, con la loro presenza, le irregolarità sistematiche
dell’impianto. Nella regione di Villabate-Bagheria, dove egli si sarebbe
trasferito sul finire degli ‘80, Tommaso Orobello presidente della coop “La
Sicilia”, divenne uno degli imprenditori intimi di Provenzano. Il Comune di
Villabate (che vide vicesindaco Antonino Fontana), sarebbe stato a lungo retto
da una amministrazione di sinistra. Nella
vicina Bagheria dove tutto era mafioso, le cooperative andavano a braccetto con
imprese “chiacchierate”. Nella terra che coprì la lunga latitanza del boss, le
coop rosse erano nei vertici delle strategie di assegnazione degli appalti.
Angelo Siino venne arrestato nel
1991 e scelse poi di convertirsi al pentitismo. Nel giro di un breve
tempo, seppur con sfumature e
competenze più variegate, egli venne sostituito da Pino Lipari, colui
che sarebbe divenuto una sorta di manager
tuttofare e prestanome di Bernardo Provenzano. Dalla ricostruzione di Siino
giunsero i dettagli di un sistema complesso e
minuzioso, e soprattutto nomi e circostanze che coinvolgevano
imprenditori e ammini stratori locali con riferimenti nazionali, della
maggioranza e anche dell’opposizione.
Il duo Simone Castello e Antonino
Fontana proseguì la sua carriera sul fronte mafioso politico imprenditoriale
con il fulcro operativo nella zona di Bagheria-Villabate, la stessa di
Provenzano, condendo le loro attività di svariate truffe.
A Bagheria, il Consiglio comunale era
stato sciolto ben 13 volte, le ultime nel 1993 e 1999. Poco prima dell’ultima intrusione
degli ispettori della procura nelle sedi comunali, nel 1998, Simone Castello
finì in manette e, nell’arco di qualche tempo, in successione, subirono la
stessa sorte i fratelli Potestio, i due manager delle cooperative rosse Pietro
Martino e Tommaso Orobello, il direttore della coop Cspa di Partinico, Raffaele
Casarubia e nel 2003 lo stesso Antonino Fontana. Inutile sottolineare come la
situazione fosse “politicamente imbarazzante” per una sinistra siciliana colta
in diversi suoi esponenti con le mani nel sacco, anche se rare furono le
ammissioni di colpa e le richieste di pulizia interna incondizionata. Più spesso, dalla sede centrale di Roma, arrivavano
le esternazioni scandalizzate di chi si scagliava verso la magistratura. Una
reazione di lesa maestà non troppo lontana da quelle che conosciamo come
rituali da parte di altre forze politiche, come quelle che al tempo
rispondevano alla Casa delle Libertà.
Fontana non venne espulso dai
DS ma ufficialmente si autosospese. Secondo la Procura egli aveva aiutato i
Potestio (suoi lontani parenti) nel Comune di sinistra di Ficarazzi ma,
soprattutto, come sostiene il pentito Salvatore Barbagallo, aveva protetto le
famiglie mafiose di Bagheria e Villabate e quindi il boss Provenzano. Fontana,
per la Cosa Nostra territoriale, prosegue Barbagallo, era un cavallo fidato su
cui puntare, esponente di un partito, il Pds, in fase crescente e quindi in
grado di assicurare le giuste coperture.
(38. – “Epilogo - Mafia: uno
Stato nello Stato” 2012-2013)
Salvatore Musumeci
CAPACI NON ESISTE LA PAROLA MAFIA
il piano regolatore dei commissari ha accontentato i costruttori. 3
liste in gara per il consiglio comunale sciolto per mafia dopo la morte di
Falcone
VOTO NEL PAESE DELLA STRAGE . Il piano regolatore dei
commissari ha accontentato i costruttori. La macelleria di un candidato di
sinistra chiusa per mancanza di clienti
A Capaci non esiste la parola mafia Nei programmi non
si parla esplicitamente di lotta alle cosche Passato e futuro del piccolo
centro legati alle lottizzazioni: uno stillicidio di attentati, bombe e incendi
tra ' 91 e ' 92 Tre liste in gara per il consiglio comunale sciolto d'
autorita' subito dopo la morte di Falcone
DAL NOSTRO INVIATO CAPACI
(Palermo) . "Troppi giardini, troppe scuole, troppe strade, mi dicono. Che
deve diventare, una citta' da fantascienza Capaci con questo piano regolatore?
Parlo per le lamentele sentite in piazza, io le carte manco le ho viste".
Capelli stirati e baffetti neri come la giacca, Giuseppe Tarallo, con il suo
sguardo alla Mimi' Metallurgico, e' il candidato piu' comprensivo per le
"vittime" del piano regolatore approvato dai commissari ad acta dopo
lo scioglimento per mafia del Comune dove si vota oggi. Lui, tallonato dai "ragazzini"
della Sinistra e dai "costruttori" della terza lista, va a caccia di
quel 60 per cento di voti un tempo custodito nella cassaforte democristiana di
Capaci, il paese a meta' strada fra Palermo e Punta Raisi, famoso in tutto il
mondo perche' qui la storia si ferma e ricomincia il 23 maggio ' 92. Eppure non
e' facile trovare la parola mafia nei programmi. In quello di Tarallo che ha
ribattezzato "Amicizia" il suo partito si annuncia solo che "la
lotta ai condizionamenti della criminalita' organizzata sara' prioritaria",
pero' dopo l' acrobatico capitolo sulla "tutela del territorio":
"A tal fine non sembra utile il permanere di un vincolo paesaggistico che
rischia di ingessare il territorio". La comprensione per le
"vittime" che si vedono negare la costruzione della villetta, del
magazzino, del rustico, trapela anche nella lista "Insieme per
Capaci" ma uno dei promotori, Giusto Baiamonte, corrispondente del
Giornale di Sicilia, rifiuta sdegnato l' insinuazione di essere longa manus dei
costruttori. Nel programma che lancia in pista come sindaco un geometra dell'
ufficio tecnico della vicina Isola delle Femmine, Cosmo Rappa, hanno pero'
dimenticato la parola mafia, promettendo piuttosto "eventuali necessarie
modifiche al piano regolatore...". E per fortuna aleggia l' "eventualita'
", perche' in realta' quelle carte per dieci anni non si potranno affatto
modificare, ne' interessa piu' di tanto i grandi costruttori della zona, paghi
dell' inserimento nello strumento urbanistico di sei megalottizzazioni. Ed e'
questo che evoca una manovra da Gattopardo perche' in queste lottizzazioni si
giocano passato e futuro di Capaci, prima e dopo la strage. Lo stillicidio di
attentati, bombe e incendi che fa scattare l' inchiesta della prefettura sei
mesi prima dell' apocalisse si consuma, infatti, fra il ' 91 e il ' 92 proprio
per convincere i consiglieri indecisi ad approvare le sei grandi speculazioni.
Poi, il 23 maggio, si blocca tutto. Scotti e Martelli si ricordano dell'
inchiesta e lo scioglimento sfratta tutti dal municipio. Si grida alla pulizia.
Qualche articolo sui giornali, cortei, concerti, comizi antimafia e poi il
venticello dell' oblio cancella Capaci dalle cronache lasciando ai tecnici,
ufficialmente super partes, il compito di mettere a punto un piano regolatore
in cui le sei lottizzazioni rientrano come se nulla fosse accaduto. Ecco il
cavallo di battaglia della terza lista, quella dei "ragazzini" come
Antonio Vassallo, figlio di un macellaio che ha dovuto chiudere la bottega sul
corso perche' il "passa parola" ha azzerato i clienti di un negozio
dove si trovavano costate e volantini della Rete. Adesso il bancone e' vuoto e
nel retrobottega si fanno le riunioni con Pietro Puccio, tessera Pds, il
candidato della lista "Per Capaci" in cui si ritrovano anche Rifondazione,
Acli e soprattutto i volontari del "Gruppo giovanile 88", quelli del
presepe antimafia, delle targhe in memoria di Falcone, di concerti e cortei
scrutati con glaciale distacco da ominicchi muti, capaci di far parlare un
bambino al posto loro dopo la strage: "Finalmente ci siamo tolti questo di
davanti...". L' ombra del 23 maggio per molti pesa come un' ingiustizia.
"Che c' entra Capaci?". Capaci c' entra perche' Nino Troia, spalla di
Riina, il suo negozio di mobili ce l' ha in piazza. E Giovanni Battaglia, altro
"soldato" in campo per la strage, lavorava nella cava di Giuseppe
Sensale, l' uomo che ha protetto la latitanza di Toto' ' u Curtu, ora indicato
come il grande amico di Giuseppe Tarallo, pronto a respingere l' infamia:
"Io sono amico di tutti, conosco Sensale come persona perbene ma non mi
corico ne' mangio con lui e se ha sbagliato paghi". Di "sciacallaggi
sull' onda mafiosa" parla anche Baiamonte che ha lasciato i
"ragazzini" del Gruppo giovanile "perche' il Pds l' ha colorato
di rosso". Ma Vassallo replica con un sorriso ironico e resta l' unico a
parlare di "decementificazione", ad evocare lo spettro delle ruspe,
come Pietro Puccio che fra un comizio e l' altro entra nel bar piu' grande,
ordina un caffe' e, alle spalle, ode la cantilena di un boss in liberta' :
"Gia' pagato".
Cavallaro
Felice
Pagina 12
(30 gennaio 1994) - Corriere della Sera
A CURA DEL COMITATO CITTADINO
ISOLA PULITA DI ISOLA DELLE FEMMINE
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