LA VERITÀ SUL
NEW YORK TIMES: CROCETTA E LA SICILIA RIDICOLIZZATI
“ Gli americani possono dormire,
insomma, su quattro guanciali. La Sicilia è quella del filone mafioso, dal
Padrino alla saga dei Soprano. E i commerci, le imprese, le banche, il tenore
di vita, i costumi, le intelligenze, le eccellenze dell’Isola? Niente.
Al New York Times questi temi non
interessano affatto perché in fondo, caro presidente Crocetta, chi comanda a
casa nostra sono loro e solo loro, gli americani con il sostegno della stampa
qualificata. E così sia.
Dovremmo recitare in tanti il “mea
culpa in vigilando”. Ricordate il
reportage del New York Times dedicato al
presidente della Regione siciliana? È stato riferito dai media italiani, e
siciliani in particolare, come un trionfale ingresso della Sicilia nel mondo americano.
Una promozione sul campo. Lo sdoganamento dell’Isola dai beceri stereotipi
creati da Hollywood per fare soldi. Quasi che le major si fossero sdebitate
attraverso il più prestigioso foglio statunitense, dopo avere regalato al mondo
a piene mani siciliani mafiosi, ignoranti, poveracci. Ebbene, è tutto falso.
Nessuno aveva letto le nove pagine del reportage del New York Times.
Incredibile, ma vero. A cominciare dalla agenzie di stampa, che hanno diffuso
le sintesi più gettonate. Se fosse il contrario, se avessero letto e tradotto,
vuol dire che avrebbero scientemente imbrogliato le carte. Ci siamo fidati stupidamente o abbiamo scelto
di credere il falso, partecipando al grande imbroglio, perché così ci conveniva?
Il danno, comunque, è fatto. Si può solo mitigarne gli effetti a casa nostra. I
lettori del New York Times, che rappresentano la parte colta dei cittadini
statunitensi, hanno appreso e “digerito” l’insulso reportage. Che condanna la
nostra leggerezza e superficialità oltre misura.
Le cose stanno così: Marco Di
Martino, il reporter del NYT, è stato per sei giorni accanto al presidente
della Regione Siciliana. Poi ha battuto sui tasti episodi, suggestioni,
pensieri che ridicolizzano la Sicilia ed il suo presidente, il più delle volte
a sproposito, in modo prevenuto e sprezzante.
Il contenuto del reportage suscita
molte domande, alcune inquietanti, sulle ragioni che hanno suggerito al New York
Times di realizzare le nove pagine. Seppure con grave ritardo, è tempo di far
sapere che cosa contengono. Proviamo a sintetizzare.
L’articolo non offre
all’upper-middle class americana informazioni sullo sviluppo economico e
finanziario della Sicilia. Né informa delle sue bellezze naturali, i reperti
storici ed artistici e l’eccellente cucina, dei costumi, tradizioni. Non una
parola sulla cultura siciliana, la sua storia, e la sua civiltà antica. Marco
Di Martino “danza” attorno alla figura del governatore. La Sicilia come “sistema Regione” è
praticamente assente se si esclude la lista di “professional beggars” e
questuanti che il presidente incontra sistematicamente ogni giorno. Una folla
di poveracci che chiedono risposte ai loro bisogni e una soluzione delle loro
vertenze. Un popolo di questuanti che
può contare sulla solidarietà di tutori dell’ordine, che si comporterebbero,
secondo il reporter, come poliziotti di una Repubblica delle banane.Infatti,
chi conosce il mondo americano, come lo scrivente, comprende quanto sia grave
il parere espresso dal giornalista: “La polizia conosce i manifestanti per
nome, – scrive il giornalista – hanno condiviso sigarette nei momenti di calma
per poi, nei momenti di tensione, indossare i paramenti antisommossa”. Proprio
così.
Il cuore del reportage è
riservato esclusivamente al presidente della
Regione, Rosario Crocetta. Nella forma di “racconto
·
verità” offre del presidente una immagine “schizofrenica”.
L’articolo si apre infatti con Crocetta che “fuma due o tre pacchetti di
sigarette al giorno, accendendole senza portarle alle labbra, spesso guardando
ai tre cellulari che ha disposto davanti a sé”. Il reporter accredita
l’immagine di una persona che trova conforto nella sigaretta, fumata compulsivamente,
condizionata dalle sollecitazioni provenienti dai suoi tre cellulari che squillano
in continuazione e gli impediscono di pensare prima che di agire.
Il reporter, addirittura
giudica il presidente un “maleducato” perché “spesso nel bel mezzo di una conversazione
risponde al cellulare o legge i messaggi senza scusarsi”. Lo qualifica anche
uno sciatto disordinato: “Quando sono arrivato nella sua stanza c’erano cumuli
di vestiti ovunque, una tavola con alcune creme di bellezza…”. Il presidente
della Regione non dedica tempo alla lettura ed all’esame di delicati e
voluminosi dossier sulla politica siciliana. È un curioso individuo che dedica
invece le prime ore del mattino alla visione di Disney Junior e, in
particolare, Peppa Pig.
Che idea si siano fatti gli
americani di Crocetta è facile intuirlo. Il reportage affronta con sciattezza
temi delicati come quelli relativi alla religione, al comunismo e alla
omosessualità, banalizzandoli e coinvolgendo indirettamente, in tale
sciattezza, lo stesso presidente. Nelle nove pagine non c’è nulla della
Sicilia, ma tanto di un presidente sui generis. Sei giorni sono tanti.
Possibile che il reporter del NYT abbia dimenticato che l’Isola ospita la più
grande base militare Usa nel Mediterraneo, Sigonella? E il sistema satellitare
di Niscemi, il Muos, motivo di preoccupazione e proteste dei siciliani? Possibile
che il ruolo della Sicilia come Hub del Mediterraneo e degli Americani come
“guardiani del globo”, non sia stato nemmeno sfiorato in sei giorni di intensa
frequentazione?
L’Isola è divenuta indispensabile
per gli americani in questa precisa fase storica. È nel Mediterraneo e nel
Medio Oriente che si giocano le partite più importanti.Il ruolo strategico che
ha la Sicilia per gli Usa avrebbe dovuto sollecitare ben altro interesse, che
le creme di bellezza e i cartoni animati mattutini. Avere un presidente alla
Mintoff, il premier maltese degli anni Settanta, molto esigente e risoluto,
avrebbe seriamente preoccupato gli americani. Ma averne uno alla Crocetta,
nella versione di Marco De Martino, è di grande conforto. Gli americani possono
dormire, insomma, su quattro guanciali. La Sicilia è quella del filone mafioso,
dal Padrino alla saga dei Soprano. E i commerci, le imprese, le banche, il
tenore di vita, i costumi, le intelligenze, le eccellenze dell’Isola? Niente.
Al New York Times questi temi non interessano affatto perché in fondo, caro
presidente Crocetta, chi comanda a casa nostra sono loro e solo loro, gli
americani con il sostegno della stampa qualificata. E così sia.
Enzo Coniglio
Nessun commento:
Posta un commento