Bertolt Brecht : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”



Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..



Pino Ciampolillo

venerdì 1 giugno 2012

SCIOLTO IL COMUNE DI BARCELLONA? NO, SOSPESO

Bertolt Brecht  : “Chi non conosce la verità è uno sciocco, ma chi, conoscendola, la chiama bugia, è un delinquente”
Non mi piace pensare che esiste l’ingiustizia della legge, non mi piace perché è dura da digerire, mi rendo conto che spesso e volentieri si perde traccia degli eventi perché non sono più sensazionali e solo grazie alla diretta conoscenza delle persone coinvolte verrai a sapere che quella storia non è finita così. Ma…………..
Pino Ciampolillo

SCIOLTO IL COMUNE DI BARCELLONA? NO, SOSPESO

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01/06/2012 15:41 RSS
SCIOLTO IL COMUNE DI BARCELLONA? NO, SOSPESO

Apprendiamo da notizie di stampa (Gazzetta del sud , 31/05/2012, pag 34), che il Ministro dell’Interno, a seguito dell’ispezione della commissione prefettizia al comune di Barcellona Pozzo di Gotto, per verificare eventuali infiltrazioni mafiose, ha emesso un provvedimento di sospensione di 30 giorni per 6 funzionari e dirigenti del comune. Ricordiamo che il Prefetto aveva nominato la commissione a seguito di un esposto presentato dall’Associazione Antimafie Rita Atria e dall’Associazione Citta’ Aperta di Barcellona Pozzo di Gotto. Dall’articolo di stampa suddetto, unico documento finora a nostra conoscenza, emergono le seguenti , provvisorie, valutazioni:
Si evincono, da subito, due inconfutabili verità:

1)   Le infiltrazioni mafiose si sono verificate;
2) Si sono individuate le persone all’interno del comune che quelle infiltrazioni le hanno veicolate.
Perché, allora, non è stato sciolto il comune di Barcellona Pozzo di Gotto? Non lo sappiamo; attendiamo di leggere le eventuali motivazioni. A noi piace pensare che il Ministro dell’interno abbia tenuto conto dell’esito delle elezioni amministrative che hanno dato un netto segnale di discontinuità con la precedente amministrazione. Insomma, ci piace pensare che il ministro abbia preso atto della volontà popolare dei cittadini barcellonesi di “sciogliere” con il voto democratico la precedente amministrazione. Ma questo è solo un nostro pensiero. Le carte parleranno più chiaramente, almeno lo speriamo.
Rimane la forte perplessità sulla sanzione comminata alle persone individuate come veicolo di infiltrazione mafiosa. Oggettivamente, 30 giorni di sospensione, nella pubblica amministrazione, si comminano per illeciti molto meno gravi di quelli riscontrati dalla commissione così come si evince dalla lettura dell’articolo di stampa.
Certamente, in attesa di leggere le carte ufficiali e di avere contezza delle motivazioni definitive, ci attendiamo dalla nuova amministrazione e dal Sindaco , prof.ssa Maria Teresa Collica, che , ricordiamo, è espressione del movimento Città Aperta di Barcellona Pozzo di Gotto, chiari e forti provvedimenti di censura nei confronti dei funzionari individuati dalla Commissione Prefettizia, di netta sfiducia del loro operato e, laddove non sia possibile la rimozione, di allontanamento dai precedenti incarichi. Crediamo che l’eventuale carenza di organico potrà essere recuperata tramite una seria e fattiva collaborazione fra amministrazione comunalee istituzioni governative.
Milazzo lì, 01/06/2012
Santo Laganà
Presidente dell’Associazione Antimafie Rita Atria






BARCELLONA PG: L'OMBRA DELLA MAFIA SUL PARCO COMMERCIALE, L'ESPOSTO DELLE ASSOCIAZIONI "RITA ATRIA" E "CITTA' APERTA" (VIDEO)




A seguito dell'articolo di oggi sulla Gazzetta del Sud, riguardante la ricostruzione della vicenda del Parco Commerciale da parte del senatore Nania, cugino del sindaco barcellonese, che ha parlato di "teorema LAM", in cui “L” starebbe per il senatore Lumia, che l’ha riassunta in interrogazione; “A” per l’associazione Atria che ne ha fatto un cavallo di battaglia e “M” per il giornalista la cui ricostruzione avrebbe sostanziato l’intervento ispettivo di Lumia, ripubblichiamo l'articolo seguito alla conferenza che si è svolta a dicembre a Palazzo dei Leoni, ricordando che è in corso una inchiesta da parte di una Commissione Prefettizia e che la vicenda è già all'attenzione della DDA.
Dal momento che i Nania (senatore e sindaco) denuciano la responsabilità della vicenda ad una amministrazione di centrosinistra, aspettiamo che lo "scontro" assuma un carattere politico, per evitare una "personalizzazione" che certamente non serve alla chiarezza.
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Era gennaio del 2011 quando l’associazione antimafie “Rita Atria” di Milazzo , insieme all’associazione “Città aperta” di Barcellona Pozzo di Gotto, hanno presentato un ricco dossier sulla vicenda inerente il Parco Commerciale della Città del Longano,  alla Procura barcellonese e al Prefetto di Messina.  L’esposto non ha avuto ancora esiti giudiziari, ma le associazioni sperano in una nuova fase rappresentata dalla nomina da parte del Ministro dell’Interno, Rosanna Cancellieri, di una commissione d’indagine per la verifica di eventuali infiltrazioni mafiose al comune di Barcellona Pozzo di Gotto. Infiltrazioni da tempo denunciate dai movimenti antimafia che sul territorio rappresentano con il lavoro quotidiano quella lotta alla mafia che non è solo parolaia e che fa sperare. (vedi video)
Del resto chiedere che si arrivi allo scioglimento del consiglio comunale di Barcellona sembra utopistico, visti altri tentativi andati a vuoto grazie proprio all’intervento di quei personaggi politici che contano in Parlamento e che a Barcellona continuano a mantenere interessi e gestire affari.
Per comprendere una  vicenda complessa, come quella affrontata dalle associazioni antimafia, può soccorrere un articolo del giornalista Antonio Mazzeo, presente a  Palazzo dei Leoni dove si è tenuta la conferenza di presentazione dell’esposto, e che da anni scrive inchieste scomode mettendo in evidenza gli intrecci tra i poteri politico-economici e mafiosi che impediscono uno sviluppo reale del territorio.
Quello che vi proponiamo è stato scritto nel 2007, all’indomani dell’ennesima “marcia indietro” del Governo sullo scioglimento per mafia del Comune di Barcellona. Il pezzo è corposo, ma è necessario quando bisogna ricomporre un puzzle come quello barcellonese.
Il grande inciucio di Barcellona Pozzo di Gotto di Antonio Mazzeo
La notizia sembra ormai certa: il governo non scioglierà per mafia la città di Barcellona. Le pressioni del sen. Domenico Nania esercitate congiuntamente ad alti esponenti politici siciliani del centrosinistra, avrebbero convinto Giuliano Amato a sfiduciare la relazione della commissione prefettizia che aveva accuratamente descritto l’infiltrazione della criminalità nella vita amministrativa. L’ambiguo ruolo della Prefettura di Messina.
Si respira una brutta aria a Barcellona Pozzo di Gotto. E girano pure delle brutte voci. Sei mesi dopo la conclusione dell’indagine conoscitiva della commissione prefettizia sulle infiltrazioni mafiose al Comune, sul tavolo del ministro degli Interni giace una relazione che descrive gravi deviazioni amministrative e le frequentazioni rituali tra boss e politici locali. Eppure, ad oggi, Giuliano Amato non ha ancora predisposto il decreto di scioglimento da sottoporre al Consiglio dei ministri. A settembre 2006 sembrava cosa fatta. Si disse che era questione di giorni. Poi iniziò un altalenante susseguirsi di conferme e di smentite. Attraverso ripetute interviste a giornali ed emittenti televisive, il sindaco Candeloro Nania, cugino del più noto senatore di An Domenico, rivelò di essere stato ricevuto da alti funzionari del Viminale e di avere dimostrato agli stessi l'insussistenza, a suo dire, dei presupposti per lo scioglimento dell'amministrazione comunale da lui guidata. Intanto si facevano pressanti le “insinuazioni” che vedevano lo scioglimento sacrificato da una “trattativa” tra gli amministratori di centrodestra protetti dal potente parlamentare barcellonese ed uno o più esponenti regionali dei Ds e della Margherita, finanche un senatore dell’Unione eletto nell’isola e persino un sottosegretario meridionale. “Tu ci metti una buona parola a Roma e noi disertiamo di tanto in tanto le risicate votazioni a palazzo Madama”, il succo dell’accordo. Il tutto veniva messo nero su bianco da alcuni organi di stampa locali. Scontata una levata di scudi delle segreterie dei due maggiori partiti del centrosinistra e di An, la richiesta della testa dell’incauto giornalista e magari una sfilza di querele da parte dei parlamentari chiamati in ballo. E invece un inquietante silenzio-assenso. Iniziava allora a circolare in versione integrale il contenuto della “segreta” relazione prefettizia ed il sindaco Nania, a nome della maggioranza, chiedeva ufficialmente l’archiviazione della procedura di scioglimento del Comune contestando alcuni dei rilievi (i meno significativi) dei commissari. Continuava l’agonia di una città oppressa dalla violenza, che aveva sperato però di incamminarsi in un difficile percorso di liberazione dal condizionamento criminale.
Certo le voci indignate sono state poche, troppo poche. Le maggiori associazioni antimafia d’Italia, riunitesi a Barcellona l’8 gennaio scorso per ricordare il sacrificio del giornalista Beppe Alfano, avevano chiesto qualche sforzo in più per dare la spallata finale ad una consorteria politico-affaristica che appariva ormai moribonda. I partiti all’opposizione hanno invece nicchiato, hanno scelto di non alzare la voce, non hanno preteso spiegazioni ai propri rappresentanti di Roma e Palermo accusati di combine con l’avversario post-fascista. Per alcuni dei leader locali è già tempo di campagna acquisti e rimpolpare le liste in previsione della prossima tornata elettorale, che senza il decreto di Amato, scatterà a primavera.
Domenica 14 gennaio c’è stato un colpo di teatro: nel corso di un comizio nella piazza centrale di Barcellona, il senatore Nania ha dichiarato di aver ricevuto personalmente da Giuliano Amato confidenze secondo le quali il Ministro stesso non “reputa sussistere i presupposti per lo scioglimento dell'amministrazione comunale ma che non è detto che egli riesca a respingere le poderose pressioni che gli vengono rivolte da personaggi che ambirebbero allo scioglimento per bieche convenienze politiche”. C’è chi ha letto le dichiarazioni del parlamentare come un’ammissione di sconfitta, mentre da Roma giungono voci che entro venerdì 19, massimo il 26 di gennaio, il Consiglio dei Ministri avrebbe commissariato Barcellona per mafia. La “soffiata” dalla capitale induce a pensare che si è alla svolta finale. Ma l’illusione dura poco. Lunedì 15, sindaco e assessori si presentano al lavoro spavaldi. C’è chi giura di averli sentiti festeggiare in sala giunta. “Amato non predisporrà il decreto, ormai è certo”, gridano alcuni. Dal Viminale si raccolgono implicite conferme. “Non potevamo fare di più, di fronte alle contro-osservazioni dei due Nania, Giuliano Amato avrebbe richiesto alla Prefettura di Messina ulteriori elementi a chiarimento. Gli sarebbe stato risposto che la situazione odierna è diversa e così il ministro ha deciso di soprassedere”.
L’ennesimo trionfo del senatore nero. Ennesimo perché sono passati quasi quattro anni da quando sono pubbliche le risultanze delle inchieste sulle commistioni tra alcuni assessori e consiglieri e la criminalità organizzata nella gestione di importanti opere pubbliche in mezza Sicilia (“Operazione Omega-Icaro”), e nessuno, né a Messina, né a Palermo, né a Roma aveva ritenuto doveroso avviare un’indagine conoscitiva sul reale peso dell’infiltrazione mafiosa nella vita politico-amministrativa di Barcellona Pozzo di Gotto.  L’immobilismo è durato sino al gennaio dello scorso anno, quando la Relazione di minoranza (oggi maggioranza di  governo) della Commissione parlamentare antimafia dedicava alla città del Longano un capitolo intero. “La mafia barcellonese mostra di avere grande capacità di infiltrazione nel settore degli appalti pubblici e nelle amministrazioni locali … e l’indebita interferenza nella gestione del servizio di raccolta dei rifiuti”, dichiaravano i commissari. Poi un passaggio ancora più sconvolgente: “L’importanza di Barcellona negli equilibri di Cosa Nostra è risultata anche nelle vicende della strategia stragista che colpì la Sicilia nel 1992. Molti collaboratori di giustizia hanno riferito che proprio nella provincia messinese si tennero alcune riunioni fra uomini di Cosa Nostra ed interlocutori esterni. Ma al di là di questo c’è il fatto, riferito da Brusca, che il telecomando da lui stesso azionato il 23 maggio 1992 a Capaci gli venne personalmente recapitato da Giuseppe Gullotti…”. Barcellona la Corleone del XXI secolo, si disse. Lo scioglimento per mafia del Consiglio apparve la strada obbligata per ridare barlumi di legalità e trasparenza alla vita amministrativa della città. Ma c’erano le elezioni politiche alle porte e si ritenne, tacitamente, che la questione non dovesse avvelenare il libero confronto tra le parti.
Prodi vinse anche se di un soffio ma si preferì far passare impunemente anche la tornata per il rinnovo del Parlamento regionale. Quasi non si dovesse disturbare il grande manovratore locale. Finalmente a giugno 2006 giunsero i quattro commissari nominati dal Prefetto Stefano Scammacca che in meno di un mese definirono la realtà barcellonese come “molto inquietante”.
“La mafia imprenditrice, quella delle connivenze con alcuni membri delle istituzioni e, per finire, quella che si insinua nel settore della politica, dei servizi pubblici e della pubblica amministrazione sono le connotazioni più recenti della criminalità organizzata barcellonese”, si legge in una delle centoquarantasei pagine di relazione. Centoquarantasei pagine in cui che sarebbero state smontate da una “richiesta di archiviazione” a firma dell’amministrazione di appena 8 pagine, più 9 schede di “osservazioni”. A cui si sarebbe aggiunto, e in modo determinante, un “supplemento esplicativo” a firma del Prefetto Stefano Scammacca.
Amato ha preferito credere più a lui che al “collega” Antonio Nunziante a capo della commissione ispettiva, promosso intanto a Prefetto di Forlì. Poco meno di un anno fa, il 15 marzo 2006, Stefano Scammacca non aveva certo dato un bell’esempio di alto funzionario dello Stato. Chiamato a deporre come teste al processo di Catania sul “rais” dei supermercati della Sicilia orientale, Sebastiano Scuto, imputato di mafia, il Prefetto di Messina ha risposto con ben trenta “non ricordo”. Ha tuttavia ammesso “un rapporto amichevole” con l’imprenditore. Tanto amichevole da svendergli una Macerati del ’68. Ma questa è un’altra brutta storia.
Il gioco al massacro
E così ancora una volta a Barcellona le frasi più ricorrenti sono “semu tutti i stissi” o “il mafioso, tanto, lo abbracciavano tutti”. E trapelano vere e proprie perle bipartisan. Uno dei temi che ha destato l’interesse dei commissari è stato ad esempio quello della locazione di immobili sede di uffici pubblici comunali. Rovistando tra le carte si è scoperto che il 18 ottobre 2001 il Comune di Barcellona stipulò un contratto della durata di 6 anni con tale Alessandro Cattafi, amministratore unico della Dibeca Snc di Barcellona, “in sostituzione di Nicoletta Di Benedetto, proprietaria dell’immobile, dietro corresponsione di un canone annuo fissato in 27.888,67 euro”. Alessandro Cattafi e Nicoletta Di Benedetto risultano essere rispettivamente figlio e madre dell’avvocato Rosario Cattafi, sottoposto dal luglio 2000, data antecedente alla stipula della locazione, alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno per cinque anni. Certo le colpe dei padri non ricadono automaticamente sui figli, ma sarebbe bastata una capatina alla Camera di commercio per verificare che la società in questione non occultava per nulla il suo vero dominus: il nome completo è infatti “Dibeca snc di Cattafi Rosario & C”, oggetto la gestione di lavori edili, stradali, marittimi e ferroviari. Amministratore unico della società sino al 1987, Agostino Cattafi, fratello di Rosario, poi sindaco del comune di Furnari.
Rosario Cattafiè descritto dai commissari prefettizi come uno dei “soggetti di livello superiore” che si muovono per mediare i contatti tra i vertici di Cosa Nostra e “taluni membri delle istituzioni operanti specialmente nel settore della politica, della giustizia e delle pubbliche amministrazioni”. Le indagini hanno accertato i rapporti tra il legale e “numerosi esponenti della criminalità organizzata provinciale e regionale, con particolare riferimento a Francesco Rugolo, ai vertici del gruppo barcellonese, ucciso il 26 febbraio 1987”. Cattafi è stato pure “compare di anello” del boss Giuseppe Gullotti (quello citato nella Relazione dell’Antimafia come il fornitore del telecomando per l’attentato mortale contro il giudice Falcone, la moglie e la scorta del 1992), a capo della mafia del Longano perlomeno sino alla sua condanna definitiva per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. “Di assoluto rilievo – aggiungono i commissari - sono anche i rapporti che lo vedono legato al boss catanese Benedetto Santapaola ed a soggetti appartenenti alla cosca mafiosa di quest’ultimo. Numerosi collaboratori di giustizia hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca Santapaola, le famiglie Carollo, Fidanzati, Ciulla e Bono”. Esponente di punta negli anni ’70 dell’estrema destra accanto a Pietro Rampulla, l’esperto artificiere di Cosa Nostra, Rosario Cattafi è stato pure indagato (e prosciolto) dalla DDA di Caltanissetta nell’ambito del procedimento sui “mandanti occulti” della strage di Capaci. Egli ha pure subito una pesante condanna, poi annullata, al processo sull’Autoparco della mafia di via Salomone a Milano.
Con l’oscuro personaggio sarebbero stati sin troppo accondiscendenti quasi tutti i gruppi politici di Barcellona. “Fu l’allora giunta di centrosinistra con delibera del 15 giugno 2000, approvata dal sindaco Francesco Speciale e dagli assessori Ds Rocco Marazzitta, Giuseppe Saya e Vito Siracusa ad autorizzare l’amministrazione a stipulare il contratto di affitto con la società della famiglia Cattafi”, ha scritto Candeloro Nania nella sua richiesta di archiviazione della procedura di scioglimento del Comune di Barcellona. “L’atto di affitto è stato sottoscritto materialmente il 18 ottobre 2001 dall’allora Commissario regionale, dott. Zaccone”, ha replicato l’ex sindaco Speciale. E viene pure recuperata dagli archivi del Municipio una delibera del Consiglio comunale in data 9 maggio 2000 con cui si approvava una proposta di emendamento a firma dei capigruppo dei partiti del centrodestra Maurizio Marchetta, Nicola Marzullo, Santi Calderone e Danilo Gelsomino che elevava a 70.000 euro il capitolo di bilancio riservato annualmente all’affitto dei nuovi locali. Dunque il “regalo” a Cattafi & famiglia non era certo da imputare – solo - all’allora giunta di centrosinistra. Firmato poi il contratto dal Commissario nessuno se l’è poi sentita di tirarsi indietro e la Dibeca ha già incassato quasi 140.000 euro di canoni d’affitto. Per la cronaca, nello stabile “comunale” dei Cattafi ha sede anche la Croce Rossa Italiana – delegazione provinciale di Messina / Barcellona.
“Io Cattafi lo conoscevo bene”
Primo firmatario dell’emendamento sugli affitti, come abbiamo visto, tale Marchetta, astro ascendente di An, poi vicepresidente dell’odierno consiglio comunale. A lui la relazione prefettizia dedica più di un passaggio. Intanto perché notato in compagnia dello stesso avvocato Rosario Cattafi e di altri mafiosi di punta del gotha barcellonese, come ad esempio Giuseppe “Sem” Di Salvo, odierno reggente del clan. Maurizio Marchetta è stato indagato per associazione mafiosa finalizzata alla turbativa d’asta nel procedimento “Omega” e nei suoi confronti è stata proposta misura di prevenzione antimafia personale e patrimoniale. Il 26 maggio 2006 il Tribunale di Messina ha però rigettato la richiesta di confisca ordinando il dissequestro dei beni e, provvidenzialmente, solo due mesi fa, il reato per il 416bis è stato derubricato in associazione semplice.
Anche l’avvocato Rosario Lizio, assessore alla “Pubblica Istruzione, promozione culturale, valorizzazione dei beni culturali, musei, biblioteche, sport e turismo” è stato notato perlomeno una volta in compagnia del “collega” Cattafi. E nella giunta Nania ha seduto per quasi tutto il mandato un secondo assessore “vicino” al controverso personaggio in odor di mafia e servizi segreti, il forzista Giuseppe Cannata, delega ai temi caldi dell’“Ambiente e della Sanità”. Cannata è stato descritto come “soggetto più volte trovato in compagnia di alcuni tra i più importanti e pericolosi appartenenti alla criminalità organizzata” (tra gli altri Sem Di Salvo, i fratelli Aldo e Salvatore Ofria, Cosimo Scardino, ecc.). Già condannato per emissione di assegni a vuoto, Cannata è imputato di tentata estorsione e falso in bilancio (reati per i quali fu arrestato nel maggio 1997). Candeloro Nania ha deciso di sbarazzarsi di lui solo il 3 ottobre 2006. “Sono intervenuto – ha dichiarato - quando ho avuto conoscenza e certezza che nelle note prefettizie e nella relazione Nunziante si faceva riferimento alle presunte frequentazioni del Cannata”. Evidentemente per il sindaco garantista non erano stati sufficienti manette e relazioni antimafia. Del resto il Cannata era cittadino al di sopra di ogni sospetto. La moglie sarebbe una dipendente del Ministero degli Interni al servizio della Prefettura di Messina e da due anni presterebbe servizio presso l’Ispettorato di Pubblica Sicurezza di Barcellona…


Amministrative: Briguglio a Mario Monti, fermare elezioni a Barcellona Pozzo di Gotto

Notizia dell' ultim' ora: 30 Aprile, ore 09:30
Roma, 30 Aprile. (Gassata) - "Presidente Mario Monti fermi le elezioni condizionate dalla mafia a Barcellona Pozzo di Gotto. Il Ministro dell'Interno Cancellieri ha sul tavolo il dossier della Prefettura che chiede lo scioglimento del Comune. Perche' il Consiglio dei ministri non si pronuncia mettendo fine a una campagna elettorale che e' una tragica farsa? Ci sono pressioni? E da parte di chi?''. E' l'appello di Carmelo Briguglio, vice presidente dei deputati di Fli al Presidente del Consiglio Mario Mario Monti.


31 Mag 2012

BARCELLONA PG - Conclusa con un decreto del ministro dell’Interno Cancellieri l’indagine prefettizia sulle infiltrazioni mafiose nella vicenda del parco di contrada Siena: Sospesi 6 funzionari comunali. La durata è di 30 giorni: «Condotte che hanno compromesso il regolare funzionamento di alcuni servizi»

Postato da Enrico Di Giacomo






La Commissione d’accesso aveva concluso per lo scioglimento del Comune di Barcellona per infiltrazioni mafiose, quella mattina del 30 marzo scorso in Prefettura, a Messina, evidenziando una serie di fatti. Per tre mesi il vice prefetto Antonio Contarino, il vice questore e dirigente del commissariato di Barcellona Mario Ceraolo, e il capo sezione della Dia di Messina Danilo Nastasi, avevano spulciato decine di atti amministrativi. Poi avevano tratto le loro conclusioni consegnandole al prefetto Francesco Alecci. In sede di Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica la decisione era stata adottata a maggioranza perché tra tutti i componenti il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca e il presidente della Provincia Nanni Ricevuto avevano votato contro lo scioglimento. Nella storia della Dibeca Sas e degli interessi dell’avvocato Rosario Cattafi secondo quelle carte evidentemente non tutto era filato liscio, per la realizzazione del mega parco commerciale di contrada Siena.
Ma il provvedimento adottato nei giorni scorsi dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri sulle infiltrazioni mafiose a Barcellona è differente rispetto alla proposta prefettizia. Il suo decreto, datato 22 maggio 2012, il giorno dopo la conclusione definitiva della tornata elettorale nel Longano, ha disposto soltanto la sospensione di sei funzionari comunali, dal segretario generale in giù, perché «… le condotte poste in essere dai suddetti funzionari hanno compromesso il regolare funzionamento di alcuni servizi in contrasto con i principi di buona (c’è un refuso nel testo, n.d.r.) andamento ed imparzialità arrecando altresì grave nocumento all’amministrazione comunale», ed è quindi necessario «… procedere all’adozione di un provvedimento idoneo a far cessare, immediatamente, il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente locale».

Quindi è stata disposta la sospensione dal servizio per il segretario generale del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto Gaetano Russo, e per i funzionari Roberto La Torre (dirigente dell’VIII Settore-polizia municipale), Rosario Maimone (vice comandante dell’VIII Settore-polizia municipale), Orazio Mazzeo (dirigente del VII Settore-gestione del territorio e ambiente), Carmelo Perdichizzi (funzionario del VII Settore-capo servizio I), Salvatore Fazio (funzionario del VII Settore-capo servizio IV). Mazzeo e Perdichizzi sono ingegneri, Fazio è architetto, Maimone è il vice comandante dei vigili, e in passato ha subito anche intimidazioni. L’ingegnere Mazzeo è stato Rup, cioé il responsabile unico del procedimento amministrativo, sia del Prg di Barcellona sia del progetto urbanistico, tecnicamente è un Prp, legato al parco commerciale di contrada Siena. Quanto durerà la sospensione? Lo dice lo stesso decreto, perché «… considerati i fatti segnalati dal Prefetto di Messina con la citata relazione del 30 marzo 2012 e la rilevanza delle condotte poste in essere dai suddetti funzionari è ritenuto congruo quantificare il periodo di sospensione in 30 giorni».
Che la Commissione d’accesso agli atti a Palazzo del Longano nominata dal prefetto Francesco Alecci avesse concluso per la sussistenza di infiltrazioni mafiose, per i fatti pregressi legati alla storia del parco commerciale di contrada Siena e per altre vicende, lo dice lo stesso decreto ministeriale, quando spiega che dalla relazione prefettizia «… è emersa la sussistenza degli elementi di cui al comma 1 dell’articolo 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000 n. 267 con riferimento ad alcuni funzionari… in servizio presso il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto». Per altro verso se si considera che in casi precedenti le sospensioni sono state di durata molto più lunga, questa limitata a 30 giorni dei sei funzionari è probabilmente legata anche ad altri fatti specifici e non soltanto alla vicenda del parco commerciale. NUCCIO ANSELMO - GDS
La vicenda


Nel dicembre 2011 il prefetto di Messina Francesco Alecci istituì una commissione d’accesso agli atti per la vicenda del parco commerciale di contrada Siena, scrivendo che si erano verificate «problematicità nell’ambito della procedura adottata dall’Amministrazione Comunale di Barcellona», quindi era necessario «verificare la eventuale esistenza di forme di condizionamento della criminalità organizzata». Tempo prima aveva ricevuto un esposto dall’associazione antimafia “Rita Atria” di Milazzo e dall’associazione “Città aperta”. Contestualmente firmò il decreto, che fu notificato all’allora sindaco di Barcellona Candeloro Nania, e nominò una Commissione d’indagine formata da tre membri: il vice prefetto Antonio Contarino, il vice questore e dirigente del Commissariato di Barcellona Mario Ceraolo, e il capo sezione della Dia di Messina Danilo Nastasi, che è un tenente colonnello della Guardia di Finanza.
La delibera venne approvata in consiglio nel 2009.

La vicenda del parco commerciale di contrada Siena, diciotto ettari di terreno da sfruttare, corre parallela alla storia alla società Dibeca Sas, proprietaria di alcuni immobili interessati alla realizzazione di una parte della struttura commerciale, subentrata alla società Gdm Spa. La società Dibeca Sas è legata alla società Dibeca Snc, costituita nel 1982 dall’avvocato barcellonese Rosario Pio Cattafi, che nei mesi scorsi è stato interessato da un sequestro preventivo di beni del valore di 7 milioni di euro e viene indicato dal pentito ed ex boss del gruppo mafioso dei Mazzarroti, Carmelo Bisognano, come «vertice assoluto» della famiglia mafiosa barcellonese. La delibera con cui è stata approvata la speculazione edilizia è la numero 59 del 16 novembre 2009. I consiglieri comunali presenti e votanti quel giorno a Barcellona furono 23, ci fu un solo astenuto, Mario Presti, tutti gli altri si espressero a favore. In aula intervennero prendendo la parola altri due consiglieri, Giuseppe Genovese e Orazio Calamuneri. In premessa il presidente del consiglio comunale Crinò sottolineò che il progetto era «munito dei pareri favorevoli della commissione consiliare competente e degli uffici». Su questa vicenda c’è anche un’inchiesta del sostituto procuratore di Barcellona Francesco Massara, che vede quindici persone, tra cui lo stesso Cattafi, iscritte nel registro degli indagati con l’ipotesi di reato di abuso d’ufficio. Inchiesta che nel marzo scorso ha registrato da parte del sostituto Massara una richiesta di proroga delle indagini per altri sei mesi, accordata dal gip Maria Rita Gregorio.(n.a.)

 

Barcellona P.G.: L’accesso agli atti della Commissione Prefettizia. Niente scioglimento, sospesi per un mese sei funzionari comunali

31 maggio 2012 - (232) - Scritto da giuseppelazzaro in Politica

Adesso è certo. Il ministro dell’Interno ANNA MARIA CANCELLIERI non ha firmato l’atto per lo scioglimento delle cariche istituzionali del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto (tra l’altro appena rinnovate) e ha invece sospeso dal servizio per un mese sei funzionari di Palazzo Longano (nella foto). Il tutto dopo che la Commissione Prefettizia aveva avuto accesso agli atti sulla vicenda inerente la realizzazione di un parco commerciale da parte di una società con a capo l’avvocato ROSARIO CATTAFI, stando a indagini in corso e alle dichiarazioni del pentito CARMELO BISOGNANO, indicato come l’elemento di vertice dei rapporti mafia-istituzioni-apparati deviati dello Stato a Barcellona…
E’ sfociato nella sospensione di sei funzionari comunali il lavoro della Commissione prefettizia di accesso agli atti del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto. Lo ha decretato ieri sera il ministro degli Interni Anna Maria Cancellieri. Il governo ha sospeso dalle funzioni per un mese il segretario generale Gaetano Russo e i funzionari Roberto La Torre e Rosario Maimone, rispettivamente dirigente e vice-comandante della polizia municipale, Orazio Mazzeo, dirigente del Settore-gestione del territorio e ambiente, Carmelo Perdichizzi, capo servizio I, Salvatore Fazio, capo servizio IV. L’ingegnere Mazzeo è il responsabile unico del procedimento amministrativo, sia del Prg di Barcellona sia del progetto urbanistico. In pratica il ministero, probabilmente anche sulla scorta del rinnovo del consiglio comunale e del sindaco alle recenti elezioni amministrative, ha adottato un provvedimento “chirurgico”, sospendendo i funzionari pubblici per i quali sono emersi profili di irregolarità nell’esercizio delle loro funzioni. I rilievi sono per lo più legati ad alcuni atti prodromici al Piano regolatore generale e, nello specifico, al progetto per la realizzazione del parco commerciale portato avanti dalla “Dibeca”, la società sequestrata dalla magistratura all’avvocato Rosario Cattafi, sospettato di essere l’elemento di vertice dei rapporti mafia-istituzioni-apparati deviati dello Stato a Barcellona e indicato come tale, nel corso di alcune verbalizzazioni, dal pentito e già capo del clan dei “Mazzarroti” Carmelo Bisognano.
             g.l.
Edited by, sabato 31 maggio 2012, ore 12,25.

giovedì 31 maggio 2012

BARCELLONA POZZO DI GOTTO : CON DECRETO MINISTERIALE SI ASSOLVE LA CITTA' DI PRESUNTE MANIPOLAZIONI



Stavolta, a differenza di cinque anni fa, anziché salvare capra e cavoli, pare che il ministro dell'interno abbia preferito salvare i cavoli e pizzicare qualche..."agnellino".
E' giunta ieri a Palazzo Longano  - tramite fax - la notizia che il ministro dell'interno Cancellieri con "decreto, datato 22 maggio 2012, il giorno dopo la conclusione definitiva della tornata elettorale nel Longano, ha disposto soltanto la sospensione di sei funzionari comunali, dal segretario generale in giù, perché «… le condotte poste in essere dai suddetti funzionari hanno compromesso il regolare funzionamento di alcuni servizi in contrasto con i principi di buona (c’è un refuso nel testo, n.d.r.) andamento ed imparzialità arrecando altresì grave nocumento all’amministrazione comunale», ed è quindi necessario «… procedere all’adozione di un provvedimento idoneo a far cessare, immediatamente, il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente locale». Quindi è stata disposta la sospensione dal servizio per il segretario generale del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto Gaetano Russo, e per i funzionari Roberto La Torre (dirigente dell’VIII Settore-polizia municipale), Rosario Maimone (vice comandante dell’VIII Settore-polizia municipale), Orazio Mazzeo (dirigente del VII Settore-gestione del territorio e ambiente), Carmelo Perdichizzi (funzionario del VII Settore-capo servizio I), Salvatore Fazio (funzionario del VII Settore-capo servizio IV). Mazzeo e Perdichizzi sono ingegneri, Fazio è architetto, Maimone è il vice comandante dei vigili, e in passato ha subito anche intimidazioni. L’ingegnere Mazzeo è stato Rup, cioé il responsabile unico del procedimento amministrativo, sia del Prg di Barcellona sia del progetto urbanistico, tecnicamente è un Prp, legato al parco commerciale di contrada Siena. Quanto durerà la sospensione? Lo dice lo stesso decreto, perché «… considerati i fatti segnalati dal Prefetto di Messina con la citata relazione del 30 marzo 2012 e la rilevanza delle condotte poste in essere dai suddetti funzionari è ritenuto congruo quantificare il periodo di sospensione in 30 giorni»(Gazzetta del Sud)".
Visto che si stabilisce «l’adozione di un provvedimento idoneo a far cessare, immediatamente, il pregiudizio in atto e ricondurre alla normalità la vita amministrativa dell’ente locale», è chiaro che si sia giunta ad una conclusione che toglie da ogni imbarazzo e ulteriori difficoltà il nuovo processo dell'attività amministrativa, con gran sollievo per coloro che la città ha portato a Palazzo Longano per operare a profitto dell'intera comunità.


barcellonablog




Le zone grigie dell’affaire commerciale di Barcellona PG






Può una società ufficialmente «inattiva» e con zero dipendenti a carico, ottenere in una decina di mesi ciò che non è stato concesso in tre anni ad una S.p.A. con fatturato annuo di 210 milioni di euro, 113 manager e più di 1.000 impiegati? La risposta è sì se ci troviamo a Barcellona Pozzo di Gotto, comune del messinese dove proliferano cosche mafiose e logge massoniche più o meno deviate, e la società in questione è la Dibeca S.a.S. dei congiunti di Rosario Pio Cattafi, un pluripregiudicato già al centro di inquietanti inchieste su criminalità organizzata e traffici di droga e armi.
«Cattafi– come recita un passaggio della relazione di minoranza della Commissione parlamentare antimafiadella XIV legislatura, primo firmatario l’on. Giuseppe Lumia- solo nel luglio 2005 ha finito di scontare la misura di prevenzione antimafia della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno, irrogatagli nel massimo (cinque anni), per la sua pericolosità, comprovata, secondo quanto si legge nel decreto emesso dal Tribunale di Messina, dai suoi costanti contatti, protrattisi per decenni e particolarmente intensi proprio nella stagione delle stragi, con personaggi del calibro di Benedetto Santapaola, Pietro Rampulla, Angelo Epaminonda (col quale Cattafi relazionò nel lungo periodo di sua permanenza a Milano) e Giuseppe Gullotti (addirittura di quest’ultimo, capomafia barcellonese condannato definitivamente per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano, Cattafi, nella migliore delle tradizioni di Cosa Nostra, è stato testimone di nozze)».
La vicenda in oggetto vede l’approvazione in tempi record e con voto unanimedella maggioranza di centro destra e dell’opposizione Pd-Udc, del piano particolareggiato che consente di trasformare 18,4 ettari di terreni agricoli di contrada Siena in un megaparco commerciale con tanto di «paese albergo», ristoranti e divertifici vari.
Un’operazione per svariate centinaia di milioni di euro che la Dibecadella famiglia Cattafi ha ereditato a costo zero dalla “G.d.m. - Grande Distribuzione Meridionale S.p.A.” di Campo Calabro (Reggio Calabria), azienda che gestisce gli ipermercati della francese Carrefour in Calabria e Sicilia più numerosi supermercati dei marchi Quiiper, Dìperdì e Docks market.
Nella primavera del 2005, fu proprio la società di Campo Calabro, previa stipula con la Dibeca di un contratto di comodato d’uso e relativa promessa di acquisto dei terreni, ad avviare l’iter per ottenere l’ok del Comune di Barcellona al megaparco commerciale. Il 14 giugno 2006, dieci mesi prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Regione Siciliana dell’approvazione del nuovo Piano regolatore generale di Barcellona Pozzo di Gotto che individuava proprio nell’area di contrada Siena la cosiddetta «Zona D.3.2 con destinazione esclusivamente commerciale», la G.d.m. affidava l’elaborazione della planivolumetria del piano, con allegata relazione illustrativa e previsione di massima delle spese, all’architetto Mario Nastasi, professionista che aveva già collaborato alla stesura del Prg di Barcellona.
Il lavoro durava all’incirca un anno e nel giugno 2007 il progetto controfirmato da Filippo Leopatri (responsabile dell’Ufficio tecnico e manutenzione della G.d.m.), approdava finalmente in Comune.
Sorprendentemente, undici mesi dopo, la società calabrese decideva però di ritirarsi dall’affare multimilionario. A spiegare le ragioni dell’inatteso forfait, l’avvocato Mario Battaglia, legale della G.d.m.. «In base al contratto stipulato nel 2005 con la Dibeca di Barcellona – dichiarava Battaglia - era previsto che l’acquisto dell’area di proprietà Dibeca era subordinato al verificarsi di una serie di condizioni, consistenti nell’ottenimento, entro e non oltre tre annidalla sua stipula, sia dell’approvazione del progetto di un Centro commerciale con annesso ipermercato, sia del rilascio delle relative concessioni edilizie da parte del Comune, sia dell’autorizzazione amministrativa commerciale per l’apertura di una grande struttura di vendita. Nessuna delle condizioni previstein contratto si è avverata nel termine triennale indicato: da qui il venir meno dell’interesse di G.d.m. all’iniziativa urbanistica. Così, con nota privata del 28 maggio 2008, è stato comunicato alla Dibeca di non dare corso alla stipula dell’atto di acquisto, stante il mancato avveramento nel termine triennale delle condizioni sospensive previste fra le parti, inerenti il mancato perfezionamento degli iter amministrativi previsti dal contratto».


Infiltrazioni mafiose a Barcellona?


Il parco commerciale della cittadina di Longano torna ad essere al centro dell’attenzione oggi, durante una conferenza stampa tenuta dall’Associazione Antimafie “Rita Atria”, insieme all’Associazione “Citta’ Aperta” di Barcellona Pozzo di Gotto. L’incontro con la stampa è stato richiesto per rendere pubblico l’esposto, presentato il 4 gennaio del 2011, dalle stesse associazioni alla Procura della Repubblica di Barcellona Pozzo di Gotto e al Prefetto di Messina. Nel suddetto esposto veniva richiesta, da parte delle associazioni, la verifica di possibili infiltrazioni mafiose all’interno della pubblica amministrazione, a fronte di un precedente controllo avvenuto con un decreto firmato il 21 Aprile del 2006 dall’allora ministro dell’Interno  Beppe Pisanu. Tale controllo si era risolto con un nulla di fatto nonostante l’intervento della Commissione ispettiva che si era espressa a favore dello scioglimento degli organi amministrativi comunali.
Nel 2010 le due associazioni sopracitate avevano chiesto di poter esercitare il diritto di accesso agli atti, previsto dalla legge 241/90, e per tale azione erano state accusate, all’unanimità dal Consiglio Comunale, di infangare il buon nome della cittadina barcellonese, tanto da essere definite “avvelenatrici di pozzi”. La risposta delle due associazioni è stata quella di diffidare l’organo comunale alla Procura della Repubblica.
La Commissione Ispettiva, organizzata dal prefetto Francesco Alecci e autorizzata, con decreto del 24 novembre, dal ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri, torna a riunirsi per verificare, ancora una volta, i rapporti tra l’avvocato Rosario Pio Cattafi e il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto.
L’associazione Rita Atria si ritiene soddisfatta del nuovo intervento della Commissione Ispettiva, ma spera che non si risolva, ancora una volta, tutto con un nulla di fatto. Viene richiesta, inoltre, la sospensione del Consiglio Comunale barcellonese fino a che non verrà fatta luce sui fatti.
Link:  http://www.messinaweb.tv/arancio/cronaca/infiltrazioni-mafiose-a-barcellona/
 
BARCELLONA 

II prefetto autorizza il proseguimento dell'indagine Ingerenze mafioso nel Comune Tra due settimane la verità

Sotto la lente i rapporti con la famiglia Cattafi

BARCELLONA. Slitta ancora di 15 giorni la presentazione della relazione conclusiva che dovrà essere redatta dalla Commissione interforze di accesso sugli accertamenti effettuati al fine di verificare possibili condizionamenti della criminalità organizzata nell'attività amministrativa del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto.Ieri, il prefetto di Messina Francesco Alecci ha fatto notificare a tutti gli amministratori comunali di Palazzo Longano il decreto con il quale si dispone una proroga dell'attività di accesso agli atti amministrativi fino al prossimo 26 marzo. La naturale scadenza dell'attività ispettiva affidata alla Commissione interforze, presieduta dal viceprefetto Antonino Contarino, era stata fissata per il prossimo 10 marzo. La gran mole di lavoro intrapreso dai commis-sari, lo stesso Contarino, il dirigente del Commissariato di polizia di Barcellona Mario Cerao-lo e il tenente colonnello DaniloNastasi, comandante della sezione operativa della Dia di Messina, non ha consentito infatti di ultimare la relazione conclusiva entro i] termine dei 90 giorni dall'accesso a Palazzo Longano. Termine ultimo che doveva scadere lunedì e che invece ieri è stato prorogato al prossimo 26 marzo. 115 giorni serviranno ai commissari per ultimare la corposa relazione ispettiva che ha affrontato tutti gli aspetti della vita amministrativa su cui si ipotizza la possibile ingerenza della criminalità organizzata, dal Prg, alla gestione del personale comunale, fino alle autorizzazioni che potrebbero essere state rilasciate ad imprese gestite o controllateda presunti appartenenti alle organizzazioni criminali.L'accesso agli atti amministrativi del comune di Barcellona è stato disposto con decreto prefettizio del 9 dicembre. A chiedere la proroga di altri 15 giorni è stata la stessa Commissione, che lo scorso 7 marzo ha inoltrato istanza di proroga per «completare - come riportato nel decreto di proroga - gli accertamenti necessari a seguito dell'emersione di spunti per ulteriori approfondimenti, riscontrare le conseguenziali acquisizioni documentali, procedere alla ricognizione del lavoro complessivamente svolto».Il prefetto Alecci, condividendo la motivazione edotta dalla Commissione di accesso, ha individuato il prossimo 26 marzo quale data entro la quale dovrà essere depositata la relazione finale dei commissari. L'accesso agli atti amministrativi del Comune di Barcellona era stato autorizzato dal neo ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri con decreto firmato lo scorso 24 novembre. Per la seconda volta in 5 anni, dopo ilprecedente accesso compiuto nel 2006, un'ispezione prefettizia ha esaminato le vicende che legano le attività private ricon-dudbili all'aw. Rosario Pio Cattafi con il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto. In particolare, le motivazioni che hanno spinto il ministero dell'Interno ad inviare l'ispezione a Palazzo Longano sono le procedure che hanno portato all'inserimento dei terreni riconducibili alla famiglia Cattafi, nello strumento urbanistico della città e successivamente all'approvazione della maxi lottizzazione per la creazione di un Parco commerciale. L'ultimo accesso agli atti amministrativi di Palazzo Longano per verificare possibili ingerenze della criminalità organizzata nella gestione della pubblica amministrazione era avvenuto con decreto del ministro dell'Interno dell'epoca di Beppe Pisanu, firmato il 21 aprile del 2006, che si concluse con un nulla di fatto nonostante la stessa Commissione aveva chiesto espressamente lo scioglimento degli organi amministrativi comunali.
< (l.o.)

Una capitale di Cosa Nostra

Verrà sciolto per mafia il Comune di Barcellona? Il Ministero ha incaricato una commissione che riferirà fra poco. Qualcuno pensa che sarebbe ora…
Una fine annunciata. Quella di una classe politica inetta ed arrogante e di una borghesia mafiosa e paramassonica. I membri, affamati tutti degli stessi sporchi affari. Miracolosamente scampato al fango di un disastro anch’esso annunciato, trema il partito unico locale. Dopo le alluvioni autunnali, si profila un forte terremoto a primavera. Che potrebbe demolire l’ancien régime e ridare speranza, democrazia e voglia di partecipazione a migliaia di donne e uomini spogliati dei diritti di cittadinanza.

A fine novembre 2011, la ministra dell’Interno Annamaria Cancellieri e il prefetto di Messina Francesco Alecci hanno firmato un decreto che istituisce una commissione d’indagine che dovrà “esperire accertamenti mirati” nell’ambito dei settori della gestione amministrativa del Comune di Barcellona Pozzo di Gotto per “verificare l’eventuale esistenza di forme di condizionamento della criminalità organizzata”. Novanta giorni per riscrivere la storia di una delle capitali dei poteri occulti e deviati, poi la corsa contro il tempo perché Roma decreti lo scioglimento per mafia e il commissariamento della grande palude del Longano. Prima che l’amministrazione Pdl dei cugini Domenico e Candeloro Nania concluda l’ennesimo mandato quinquennale. Centinaia di atti e delibere da esaminare, una delle quali, approvata il 16 novembre 2009 in Consiglio comunale, sotto indagine della Procura della Repubblica dopo un esposto delle associazioni “Rita Atria” di Milazzo e “Città Aperta” di Barcellona e un’interrogazione fiume del parlamentare Pd Giuseppe Lumia. Oggetto, il Piano particolareggiato di un mega parco commerciale di 18,4 ettari in contrada Siena. Un’area a vocazione agricola trasformata d’incanto in cittadella dorata ove insediare molteplici infrastrutture per la grande distribuzione, alberghi, ristoranti e locali di dubbio divertimento. Una devastante colata di cemento che non ha uguali nel panorama siciliano dove il territorio è depredato da super e ipermercati. Il progetto di Barcellona prevede costruzioni per 398.414,45 metri cubi, contro un volume esistente di appena 23.164,68, mentre il sistema di viabilità da 5.052 metri quadri si svilupperà a sei sezioni stradali per ulteriori 35.714 m².   
 
“Nella storia del parco commerciale di contrada Siena si sono verificate problematicità nell’ambito della procedura adottata dall’Amministrazione Comunale di Barcellona”, ammonisce il decreto ministeriale sui “presunti” condizionamenti criminali della vita politica nel Longano. Assai poco “presunti” in verità, dato che la società committente della redazione del piano commerciale è la Dibeca Sas, proprietaria di 5,97 ettari di terreni, già attenzionata dalla commissione prefettizia che nel 2006 aveva chiesto senza successo lo scioglimento del Comune. Motivo, il contratto di affitto sottoscritto con gli amministratori barcellonesi per un palazzo di Via Operai destinato a uffici pubblici. Un accordo che da più di dieci anni consente di rimpinguare le casse di una società notoriamente nella disponibilità dell’avvocato Rosario Pio Cattafi, ritenuto un personaggio di vertice della famiglia mafiosa locale. “Il capo dei capi di Cosa nostra messinese”, lo ha definito il collaboratore di giustizia Carmelo Bisognano, già a capo del feroce clan di Mazzarrà Sant’Andrea. E qualche mese fa, su ordine del Tribunale di Messina, i Cattafi hanno pure subito il sequestro di beni e conti bancari per un valore di sette milioni di euro.

“Numerose anomalie hanno condizionato l’iter progettuale del Parco di contrada Siena”, denunciano le associazioni antimafia “Rita Atria” e “Città Aperta”. “L’approvazione è avvenuta in violazione delle norme vigenti in materia urbanistica ed è per questo che chiediamo l’annullamento del provvedimento. La Dibeca, con il totale assenso degli organi comunali, si è appropriata di un settore di attività che vuole essere espressione del potere di supremazia. Nel predisporre e redigere il piano del Parco commerciale, la società di Cattafi non ha inteso soltanto condizionare l’attività del Comune, ma si erge a forza egemonica, a dominus estraneo all’ente locale che fa sentire il suo peso su tutti i suoi organi istituzionali e burocratici. È la negazione dell’esistenza stessa dello Stato di diritto”. Il condizionamento della pubblica amministrazione e le “pressioni esterne all’interesse generale”, sono provati, secondo gli estensori dell’esposto, da una serie di “atti, comportamenti ed elementi sintomatici che s’inseriscono all’interno di un pesante quadro politico rappresentato dall’approvazione del nuovo PRG di Barcellona, caratterizzata da gravi sospetti d’illegittimità”.
L’affaire di contrada Siena ha già consentito una miracolosa rivalutazione dei terreni, stimati nel luglio 2007 in 28 euro al mq. e – diciannove mesi dopo – in 85 euro al mq.. “L’approvazione del Piano particolareggiato ha innescato un meccanismo di supervalutazione dei terreni di quasi il 300% del valore venale originariamente indicato, con tutto quanto ne consegue in termini di distorsione delle regole che presiedono ad una compravendita libera e legittima e ciò sia che si realizzi o meno il Parco commerciale”, commentano le associazioni antimafia. Conti alla mano, la Dibeca di Cattafi & C. si è trovata proprietaria di un patrimonio fondiario stimato in 5.074.500 euro, otto volte in più di quanto aveva versato per la sua acquisizione il 7 aprile 2005. La società aveva rilevato i terreni dall’Opera San Giovanni Bosco dei Salesiani di Barcellona che, a sua volta, li aveva ricevuti in donazione testamentaria da uno stretto congiunto di Rosario Pio Cattafi. Costo dell’operazione 619.800 euro (394.800 per i terreni agricoli e 225.000 euro per i fabbricati ospitati). Il pagamento con assegni circolari a firma GDM – Grande Distribuzione Meridionale, la società per azioni di Campo Calabro (Reggio Calabria) che nella primavera del 2005, previa stipula con la Dibeca di un contratto di comodato d’uso e relativa promessa di acquisto dei terreni, aveva avviato l’iter per ottenere l’OK del Comune al megaparco commerciale. Ciononostante, la GDM poi deciderà di defilarsi dal progetto lasciando ai Cattafi l’onere e gli onori di concludere l’affare. Resta difficile da capire come mai i Salesiani si siano convinti ad alienare i terreni a prezzi di saldo di fine stagione. Nel 1979 i Cattafi avevano avviato un tormentato contenzioso legale invocando la “risoluzione delle disposizioni testamentarie” perché i religiosi non avrebbero destinato “a scopi sociali benefici” i terreni ottenuti dal progenitore, ma il Tribunale di Messina si era opposto il 6 dicembre 1989. La sentenza fu appellata, ma prima che fosse emesso il giudizio di secondo grado, i Salesiani decisero di capitolare. Uno dei tanti misteri che le indagini dovranno chiarire.
“Al centro del crocevia fra cosche e affari…”
“Rosario Pio Cattafi è inserito a pieno titolo, in una posizione di preminenza rispetto a quello dei singoli affiliati, in alcune organizzazioni criminali di tipo mafioso, quali la famiglia di Benedetto Santapaola e la famiglia di Barcellona Pozzo di Gotto”. Il 21 luglio del 2000, il Tribunale di Messina delineava il profilo criminale di quello che da lì a poco sarebbe divenuto l’ideatore-tessitore del grande affaire del parco commerciale del Longano. Una “persona socialmente pericolosa”, contro cui veniva decretata la misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza con obbligo di soggiorno nel Comune di Barcellona, per la durata di cinque anni. “Numerosi collaboratori di giustizia, tra i quali spiccano Angelo Epaminonda e Maurizio Avola hanno indicato Cattafi come personaggio inserito in importanti operazioni finanziarie illecite e di numerosi traffici di armi, in cui sono emersi gli interessi di importanti organizzazioni mafiose quali, oltre alla cosca Santapaola, le famiglie Carollo, Fidanzati, Ciulla e Bono”, aggiungevano i giudici peloritani.

Sei anni più tardi i membri della commissione prefettizia inviata per indagare sulle infiltrazioni mafiose al Comune, avrebbero descritto il Cattafi come “una delle figure più emblematiche mediante il quale la città di Barcellona diventa il crocevia, snodo nevralgico e luogo di convergenza ove si intersecano gli interessi della mafia catanese e palermitana, intrecciandosi con imponenti operazioni finanziarie e di illeciti traffici che portano fino alla lontana Milano”.
Da giovanissimo aveva militato nelle file della destra eversiva “rendendosi protagonista nell’ambiente universitario messinese di alcuni pestaggi (unitamente al mistrettese Pietro Rampulla, l’esperto artificiere della strage di Capaci), risse aggravate, danneggiamento, detenzione illegale di armi”. Sono gli anni in cui nell’Ateneo di Messina si strine l’inedita alleanza tra neofascisti, ‘ndrangheta, massoneria deviata e misteriose organizzazioni paramilitari: “l’Italia come Il Portogallo di Salazar, la Spagna di Franco e la Grecia dei colonnelli” è la parola d’ordine. Tra i protagonisti dei raid nelle aule accademiche e alla casa dello Studente spiccano alcuni militanti di Ordine Nuovo, “movimento culturale” che a Messina era ospitato nella sede del Msi-Dn. Vicereggente provinciale del Fuan, l’organizzazione universitaria del partito di Almirante, era al tempo Rosario Cattafi. “Questo personaggio ha origini ordinoviste”, spiegò nel 1995 l’allora Procuratore della Repubblica di Firenze Pierluigi Vigna ai membri della Commissione Parlamentare Antimafia presieduta dall’onorevole Parenti. Ancora più netti i militari del G.I.C.O. della Guardia di finanza di Firenze. “Prima di far parte di Cosa Nostra, al tempo in cui frequentava l’Università di Messina, Cattafi era un terrorista”, scrissero un anno più tardi in una loro informativa su un presunto traffico di armi a livello internazionale.
Lasciata Messina per la Lombardia, nella seconda metà degli anni ’70, Cattafi fu sospettato di essere stato uno dei capi di una presunta associazione operante a Milano, responsabile del sequestro, nel gennaio 1975, dell’imprenditore Giuseppe Agrati, rilasciato dopo il pagamento di un riscatto miliardario. All’organizzazione fu anche contestata la compartecipazione nei traffici di stupefacenti e nella gestione delle case da gioco per conto delle “famiglie” mafiose siciliane.

Nei primi anni ’80, il barcellonese si sarebbe attivato in vista del trasferimento di una partita di cannoni “Oerlikon” a favore dell’emirato di Abu Dhabi. I documenti sulla transazione di materiale bellico furono scoperti nel corso di un’inchiesta della procura meneghina interessata a verificare se dietro un suo viaggio a Saint Raffael c’era l’obiettivo di “stipulare per conto della famiglia Santapaola un accordo con i Greco per la distribuzione internazionale di stupefacenti”. Le indagini consentirono di accertare che il Cattafi aveva avuto accesso a numerosi e cospicui conti correnti in Svizzera e che lo stesso aveva tenuto “non meglio chiariti” rapporti con presunti appartenenti ai servizi segreti.
Nell’agosto del 1993 fu indicato in una nota della Squadra Mobile di Messina quale fornitore di materiale esplodente e di armi ai sicari della cosca barcellonese ed “uno dei maggiori esponenti del clan”. L’1 settembre dello stesso anno la sua abitazione fu oggetto di perquisizione su decreto emesso dalla Procura di Messina nell’ambito di un procedimento penale per traffico internazionale di armi e materiale bellico, associazione per delinquere, truffa e corruzione, nel quale egli risultava coindagato unitamente al re dei casinò delle Antille olandesi Saro Spadaro e al mediatore italo-peruviano Filippo Battaglia. Il procedimento fu avocato dalla Procura di Catania che rinviò a giudizio il solo Battaglia (poi assolto). Rosario Cattafi fu invece tratto in arresto il 9 ottobre 1993 in esecuzione di un ordine di cattura emesso dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Firenze, nell’ambito dell’operazione relativa all’autoparco della mafia di via Salomone a Milano. Dopo una pesante condanna in primo grado a 11 anni e 8 mesi per associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti (4 anni furono scontati nel carcere di Opera), la sentenza fu annullata per un vizio procedurale. Rifatto il processo, Cattafi venne assolto perché in sede dibattimentale furono dichiarate inutilizzabili le intercettazioni ambientali che avevano documentato le sue frequentazioni dell’autoparco. In una delle intercettazioni, il 16 settembre 1992, Cattafi si vantava di avere avuto modo in qualche modo di assistere ad un importantissimo summit mafioso, tenutosi in una località, forse Erice, “durante la quale venne deliberato un patto chiamato accordo delle cinque monete”. “Sembra che non ci possono essere dubbi che il Cattafi voglia riferirsi a quanto raccontato a suo tempo anche a Franco Carlo Mariani e cioè di aver assistito ad un convegno a cui avevano partecipato gli esponenti di cinque mafie mondiali”, spiegano gli uomini del G.I.C.O..

Del barcellonese si occupò poi la Procura di La Spezia nell’ambito dell’inchiesta sul faccendiere Pacini Battaglia e su un grosso traffico di armi delle società costruttrici Oto Melara, Breda ed Augusta con paesi sottoposti ad embargo. Sul suo conto i magistrati scrivevano “essere inserito a pieno titolo nel commercio illegale delle armi e degli armamenti”. Nel 1998 fu invece sottoposto ad indagini (anch’esse poi archiviate) da parte delle Procure di Caltanissetta e Palermo relativamente i cosiddetti “mandanti occulti” della strategia stragista del 1992-93. Nel procedimento (Sistemi Criminali), il nome di Cattafi comparve accanto ai boss mafiosi Salvatore Riina e Nitto Santapaola, al patron della P2 Licio Gelli, all’ordinovista Stefano Delle Chiaie e a Filippo Battaglia. Sugli indagati, il sospetto di “avere, con condotte causali diverse ma convergenti, promosso, costituito, organizzato, diretto e/o partecipato ad un’associazione, promossa e costituita in Palermo anche da esponenti di vertice di Cosa Nostra, avente ad oggetto il compimento di atti di violenza con fini di eversione dell’ordine costituzionale, allo scopo – tra l’altro – di determinare le condizioni per la secessione politica della Sicilia e di altre regioni meridionali dal resto d’Italia…”. Un rapporto della D.I.A. (1994) aveva segnalato contatti telefonici fra le utenze utilizzate dal Cattafi “con soggetti riconducibili a Licio Gelli e Stefano Delle Chiaie, fra la fine del 1991 e gli inizi del 1992”.

A rafforzare l’immagine e il potere del presunto “capo dei capi” della mafia messinese, le amicizie con politici, parlamentari, giudici e imprenditori. È stato ancora lo SCICO di Firenze ad abbozzare la lista dei contatti “eccellenti”. “Sulla base degli elementi desumibili dalla documentazione sequestrata, Cattafi frequentava circoli e club sia a Milano che a Barcellona, potendo così incrementare il numero delle conoscenze utili… Risultava interessato in particolare all’attività del “Circolo Corda Fratres” di Barcellona, il cui rappresentante, Antonio Franco Cassata, risulta rappresentante anche della “Ouverture–Associazione Italia-Benelux” e del “Comitato Organizzativo Premio Letterario Nazionale Bartolo Cattafi”. “In merito all’attività di tali associazioni e circoli – aggiungevano gli inquirenti – apparirebbe opportuno maggiormente indagare essendo tali attività, sovente, mezzo di copertura a congreghe massoniche coperte, atteso anche che notizie informative indicano il Cattafi appartenere a tali consorterie”.

Vengono pure segnalati gli stretti legami con l’on. Dino Madaudo (Psdi), al tempo sottosegretario al Ministero delle Finanze, successivamente sottosegretario alla Difesa (ministro on. Salvo Andò) con delega all’Arma dei Carabinieri. “Rapporti del Cattafi con amministratori pubblici sono evidenziati dai contatti telefonici peraltro frequenti con utenze intestate all’Assemblea Regionale Siciliana alla Presidenza della Regione Sicilia e Assessorato Industria. Persone legate al Cattafi sono Domenico Caliri, antiquario di Barcellona Pozzo di Gotto, l’attore Gianfranco Jannuzzo e l’avvocato Francesco Sciotto, all’epoca assessore all’Industria e appartenente allo stesso partito del Madaudo (…) Conoscenze e rapporti del Cattafi non si limitano a ciò ma spaziano da un viceprefetto (Giuseppe Rizzo al tempo viceprefetto di Messina) con scambi augurali attestanti fraterna amicizia, a non meglio definite conoscenze all’interno della Questura di Messina che gli avevano addirittura consentito di locare un immobile di sua proprietà in Barcellona al Ministero della Pubblica Sicurezza: difatti nell’immobile si era insediato il locale Commissariato di P.S.”.

Nella sua informativa, il G.I.C.O. segnalava che tra le annotazioni sulle agende del Cattafi comparivano le voci “Franco Cassata”, “Dott. Franco Cassata A.–Procura”; “Corda Fratres–Circolo”. “La prima utenza corrisponde a quella dell’abitazione del dottor Antonio Franco Cassata; la seconda agli Uffici Giudiziari di Messina e la terza all’associazione culturale di cui il Cassata risulta rappresentante legale…”. Anch’egli barcellonese, Cassata è l’odierno Procuratore generale di Messina. Secondo Il Fatto Quotidiano del 21 settembre 2011, sarebbe finito sotto indagine a Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa. A dicembre, il Tribunale di Reggio ha ordinato il rinvio a giudizio del dottor Cassata per “diffamazione aggravata in concorso con ignoti” del professore Adolfo Parmaliana, morto suicida l’1 ottobre 2008 dopo aver inutilmente lottato, in solitudine, contro le tante illegalità della vita politico-amministrativa del Comune di Terme Vigliatore.

SCHEDA/ LA POLITICA A BARCELLONA
ALLUVIONE, INFILTRAZIONI MAFIOSE, ELEZIONI
Non dev’essere un bel momento per la politica che governa Barcellona. Prima l’alluvione del 22 novembre con tutti gli strascichi di polemica che comporta e, non ultima, l’accusa del movimento degli studenti che stigmatizza lo stornamento dei fondi provinciali per gli alluvionati per fare luminarie di Natale. Poi la nomina della commissione d’inchiesta da parte del Ministro degli Interni su eventuali infiltrazioni mafiose all’interno del palazzo comunale sulla vicenda del Parco Commerciale; vicenda, questa, aperta da un esposto di questa associazione, insieme all’ass. Citta Aperta, presentato al Prefetto e alla Procura della Repubblica il 4 gennaio del 2011. E infine le prossime amministrative, su cui i primi due avvenimenti pesano come un macigno.
Non dev’essere un bel momento per la politica che governa Barcellona se invece di mettersi a disposizione della commissione d’inchiesta, sente il bisogno di organizzare una conferenza stampa per delegittimare la stessa commissione ed attaccare le associazioni antimafia e il giornalista Antonio Mazzeo rei, le prime, d’aver sollevato il problema e il secondo di aver esercitato il diritto/dovere di informazione. E, in maniera bizzarra, lo fa affidando il timone al Senatore Nania, che formalmente non c’entra nulla ma che dimostra, qualora ce ne fosse bisogno, di essere il vero “dominus” della politica Barcellonese.

E non deve essere un bel momento nemmeno per la politica di opposizione, che non sente il bisogno di dire una parola su queste vicende, e in particolare sul parco commerciale. La sensazione in citta
̀ è che tutti, destra e sinistra, si augurino che il comune non venga sciolto e si vada tranquillamente alle elezioni, perpetrando un sistema che non trova al suo interno le ragioni per il cambiamento. Lo scioglimento del Comune per infiltrazioni mafiose inevitabilmente rinvierebbe la data delle elezioni ed obbligherebbe tutti, dominanti e dominati, a riflettere se non sia il caso di cambiare musica e mettersi il sistema Nania alle spalle.
Santa Mondello, Associazione Rita Atria
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Antonio Mazzeo
Una cittadina di provincia destinata a segnare la storia recente del Paese: a Barcellona (Messina) ambienti massonici e paramassonici hanno creato un sistema di potere apparentemente inossidabile. Finora…
Trent’anni fa. Il muro di Berlino. La spada di Damocle dei missili nucleari da piazzare ad Est e ad Ovest. Le grandi manifestazioni di massa contro la logica dei Blocchi contrapposti. E il Mediterraneo che assumeva sempre più il ruolo di nuova frontiera tra Nord e Sud. Nella grande base di Sigonella, avamposto di guerra e di morte, fervono i preparativi per ospitare i primi Cruise destinati alla costruenda installazione di Comiso. Una base a stelle a strisce, de iure e de facto, con una sempre più difficile convivenza con il 41° Stormo dell’Aeronautica militare italiana. Al comando c’è il colonnello Franz Sidoti. L’estate del 1982 volge al termine e il soldato dell’aria viene raggiunto da una chiamata telefonica da Barcellona Pozzo di Gotto, la città dove è nato.
È Antonio Franco Cassata, vecchio amico d’infanzia, giudice istruttore a Patti e instancabile animatore del circolo culturale “Corda Fratres” del Longano. “Franzittu, il 17 ottobre ricorre il centenario della morte di Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi, e noi della Corda vogliamo radunare un mondo, a Barcellona”. Il magistrato invoca la sinergia dell’arma azzurra per aggiungere fremito e modernità alla cerimonia che sta organizzando con il patrocinio della Regione Siciliana. “Ti chiedo, Franzittu, di far convergere, all’ora esatta della posa della corona ai caduti, tutta la potenza del cielo”. “Tutto doveva avvenire in quell’ombelico della volontà di Franco”, ricorda Sidoti. “Fu così concordato il passaggio su Barcellona di una pattuglia di Starfighter F.104F, cacciatori di stelle…”. E il 17 ottobre, puntuali come un treno svizzero, le bare volanti dell’Aeronautica sorvolarono la città del Longano. Urla di giubilo e lo sventolio di migliaia di bandiere tricolori. Cassata è commosso. L’omaggio a Garibaldi ha consacrato l’onnipotenza del circolo e dei suoi soci. Giudici, avvocati, insigni giuristi, poeti, scrittori, artisti, giornalisti, diplomatici, militari, liberi professionisti, parlamentari, sindaci e amministratori locali. Un vicepresidente del senato. Una saggia condivisione bipartisan, neo e post fascisti, cattolico-centristi-democristiani, socialisti e comunisti. L’élite di una cittadina di periferia destinata a segnare la storia recente del Paese.
Fédération Internazionale des Etudiants Corda Fratres Consulat de Barcellona (Sicilia) il nome dell’officina che ha forgiato i giovani rampolli della borghesia liberale locale. L’ultima sopravvissuta delle Corde goliardiche che animavano gli atenei italiani del dopoguerra, filiale di quella rifondata nel 1944 nell’Università degli Studi di Messina all’ombra del rettore-ministro-massone Gaetano Martino. Al tempo, tra gli studenti cordafratrini spiccavano le figure del figlio d’arte Antonio Martino, futuro ministro agli esteri e alla difesa dei governi Berlusconi (e una domanda in sonno di affiliazione alla loggia P2 di Licio Gelli); Enrico Vinci, poi segretario generale della Comunità europea; Francesco Paolo Fulci, prima ambasciatore a Washington e successivamente direttore del Cesis (il Comitato esecutivo a capo dei servizi segreti); Nicolò Amato, direttore generale degli istituti di pena. Nel Longano, il fior fiore dell’intellighenzia: il letterato Nello Cassata (padre del giudice), lo scienziato Nino Pino Balotta, i magistrati Carlo Franchina e Gino Recupero, il poeta Bartolo Cattafi, il prefetto Ettore Materia.
Quando a fine anni ’60 i principi tardo-ottocenteschi della Corda verranno messi all’angolo dai movimenti studenteschi ed operai, sarà proprio Antonio Franco Cassata a mantenere in vita il circolo di Barcellona, elevandola ad associazione culturale in grado d’interloquire su ogni tema della politica e della vita sociale nazionale. Con soci e dirigenti in buona parte giudici ed avvocati, l’attenzione al mondo della Giustizia e dell’ordine pubblico è stata una costante. Cassata è riuscito ad avere ai convegni fratrini, i magistrati Giancarlo Caselli, Aldo Grassi, Franco Providenti e Francesco Di Maggio. E ad annoverare tra i “soci onorari”, i magistrati Melchiorre Briguglio e Carmelo Geraci. Più due uomini di vertice dei Carabinieri, i generali Sergio Siracusa (già direttore del SISMI, il servizio segreto militare, ed ex comandante dell’Arma) e Giuseppe Siracusano (tessera n. 1607 della P2), indicato dalla relazione di minoranza dell’on. Massimo Teodori sulla superloggia atlantica come “un fedelissimo di Gelli da antica data”.
Non pochi i frammassoni dell’associazione barcellonese. Su 36 fratelli risultati iscritti nel 1994 alla loggia Fratelli Bandiera del Grande Oriente d’Italia, ben 14 sono risultati soci Corda Fratres; altri due, avvocati, nella loggia La Ragione di Messina. Compresenze che hanno spinto alcuni a definire il circolo come paramassonico, scatenando le ire dei presenti. “La storia della Corda Fratres di Barcellona testimonia, sotto molteplici aspetti, l’assoluta incompatibilità della stessa con qualsiasi forma di esoterismo di tipo massonico”, scrive il giudice Cassata. Eppure il volume pubblicato in occasione del sessantesimo compleanno del circolo riporta, testuale, che “l’originaria incontaminazione della Federazione fu destinata a vacillare nel ‘900, allorché la Corda Fratres, così come la maggioranza dei Club service di allora, subirono l’infiltrazione della Massoneria (il Grande Oriente d’Italia)”.
“Il programma – si spiega – basato su solidarietà, carità e pace, luce ed amore, era, del resto, tutto speculare a quello della Massoneria universale, così come affini erano alcuni obiettivi specifici, a partire della lotta contro l’oscurantismo clericale”. Salvo concludere che “la contaminazione massonica, però, si limitò a un periodo ben delimitato della vita della Corda”. Per il grande storico della massoneria italiana, Aldo Mola, l’interesse del Grande Oriente per i cordafratini fu “inevitabile”: una “reciproca attrazione” dovuta al fatto che l’associazione, “sostenitrice di una fratellanza universale, non poteva non giungere a utilizzare il cifrario liberomuratorio”. Un’attrazione fatale come quella per gli ordini cavallereschi. Si racconta di un Cassata presidente, nel 2004, di una commissione esaminatrice del premio “contro la violenza negli stadi”, promosso dall’Ordine dei Cavalieri Templari. Tra i commissari, pure il professore Santino Lombardo, allora presidente Corda Fratres.
Antonio Franco Cassata è l’odierno Procuratore generale di Messina. Inamovibile. Nonostante Il Fatto Quotidiano abbia scritto il 21 settembre 2011 che è sotto indagine a Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa insieme ad altri magistrati rimasti ancora senza nome. Sempre a Reggio, il cordafratrino è sotto processo per “diffamazione aggravata in concorso con ignoti”, commessa con la diffusione di un dossier anonimo contro il docente universitario Adolfo Parmaliana, morto suicida l’1 ottobre 2008 dopo aver inutilmente lottato, in solitudine, contro l’illegalità nella vita politico-amministrativa del Comune di Terme Vigliatore. Anni prima, Parmaliana aveva inutilmente denunciato Cassata al Consiglio superiore della magistratura.
“Non si è mai visto in Italia un processo a un alto magistrato per un dossier ai danni di una persona defunta, per di più con lo scopo di tentare di ostacolare la pubblicazione di un libro”, afferma Fabio Repici, legale della famiglia Parmaliana. “Il volume che si tentò di non far giungere nelle librerie, Io che da morto vi parlo, di Alfio Caruso, è la storia di Adolfo, delle sue battaglie spesso solitarie, delle sue sconfitte, della sua morte e delle nefandezze compiute ai suoi danni”. Processo davvero singolare quello contro Cassata. Alla prima udienza, il magistrato Giandomenico Foti, capo dell’ufficio del Giudice di pace, ha dichiarato di astenersi in considerazione dei suoi “rapporti di amicizia e di frequentazione personale e familiare” con l’imputato. Altro colpo di scena alla seconda udienza: essendo prossimo a compiere 75 anni d’età, il nuovo giudice, Antonino Scordo, ha reso noto che non potrà portare a termine il processo. Tutto rinviato dunque al prossimo 29 marzo, quando le parti, forse, potranno conoscere l’identità del giudice giudicante.
“Con la nomina di Cassata – aveva scritto Alfio Caruso – diventa tangibile l’egemonia di Barcellona su Messina attraverso il sindaco Buzzanca, il procuratore generale e il politico più influente Domenico Nania. Tutti e tre provengono da Barcellona e dalla Corda Fratres, l’associazione della quale hanno fatto parte anche Pino Gullotti, il capo riconosciuto della famiglia mafiosa, e l’enigmatico Saro Cattafi…”.
Un boss mafioso fra i notabili della buona società
Dotti, borghesi, massoni e qualche presenza imbarazzante tra i cordafratrini di Barcellona PG. A iniziare da Giuseppe Gullotti, l’avvocaticchiu, una condanna passata in giudicato per l’omicidio del giornalista Beppe Alfano. Del circolo culturale, nel 1989, il boss fu anche per breve tempo membro del direttivo. Fu ufficialmente allontanato solo nell’autunno del 1993, dopo la visita nella città del Longano della Commissione parlamentare antimafia presieduta dall’on. Luciano Violante. La relazione finale stigmatizzò il suo ruolo-guida all’interno della cosca locale. Nonostante in Corda Fratres nessuno avesse mai avuto dubbi sull’onorabilità di Gullotti, egli era incorso in passato in più di uno scivolone giudiziario. Il 27 dicembre 1982, era stato denunciato insieme ad alcuni pregiudicati barcellonesi per gioco d’azzardo all’interno del circolo “Famiglia Sicula”. Nel 1989, a Viterbo, Gullotti era stato sottoposto a indagine per truffa (poi prosciolto) a seguito dell’acquisto di una Volvo rivenduta al conterraneo Roberto Minolfi, cognato dell’imprenditore agrumario Giovanni Sindoni. Quel Sindoni fedele sottoscrittore d’inserzioni pubblicitarie sul periodico cartaceo della Corda, ritenuto dagli inquirenti “soggetto legato all’organizzazione mafiosa barcellonese”, in contatto con i catanesi del clan Santapaola.
L’efficienza criminale di Giuseppe Gullotti era nota invece tra i pezzi da novanta di Cosa nostra siciliana. “Venne ordinato uomo d’onore nel 1991, per intercessione del vecchio boss di San Mauro Castelverde, Giuseppe Farinella”, ha raccontato Giovanni Brusca. “Sempre il Gullotti si sarebbe dovuto occupare di reperire l’esplosivo necessario per l’attentato che venne progettato tra il ’92 e il ’93 contro il leader del Partito socialista Claudio Martelli, attraverso l’interessamento e la mediazione del clan di Nitto Santapaola”. Deponendo al processo Mare Nostrum, lo stesso Brusca ha dichiarato che il telecomando da lui adoperato per la realizzazione della strage di Capaci, gli era stato materialmente consegnato poco prima proprio da Gullotti. L’assegnazione al barcellonese di tale incarico, secondo Brusca, sarebbe stata patrocinata da Pietro Rampulla, l’ex ordinovista artificiere del tragico attentato del 23 maggio 1992 contro il giudice Falcone.
“Anch’io avevo rapporti con Gullotti”, ha raccontato nel giugno 1999 il controverso collaboratore Luigi Sparacio, già a capo dei gruppi criminali peloritani. “Mi era stato presentato da Michelangelo Alfano come persona vicina a Cosa nostra, e in tale ambito fornii al predetto uno-due telecomandi da utilizzare per attentati e che erano stati per me realizzati su commissione, da un dipendente dell’Arsenale militare di Messina…”. Sparacio ha aggiunto che tra le persone “vicine” al Gullotti c’era il costruttore Vincenzo Pergolizzi, il faccendiere Filippo Battaglia ed “una persona di Barcellona che era vicino al Battaglia con il quale trafficava in armi, tale Cattafi Rosario che era amico di Natale Sartori ed Antonino Currò”. Originari di Messina, Sartori e Currò erano stati arrestati nel marzo ’99 a Milano con l’accusa di associazione mafiosa. Titolari di società di pulizie, vantavano legami di altissimo livello: il manager Fininvest Marcello Dell’Utri e il factotum di Silvio Berlusconi, Vittorio Mangano, mafioso palermitano della “famiglia” di Porta Nuova. Un collaboratore, Vincenzo La Piana, ha raccontato di aver partecipato, a Milano, ad un pranzo con Dell’Utri, Currò e Sartori in cui venne richiesto al senatore un interessamento per il trasferimento carcerario del Mangano, al tempo ristretto a Pianosa.
Nome ancora più indigesto dell’albo soci della Corda Frates, quello di Rosario Pio Cattafi, professione avvocato, indicato da pentiti ed inquirenti come il capo dei capi della mafia barcellonese. Più di un anno fa il Tribunale di Messina gli ha sequestrato beni del valore di sette milioni di euro, compresi i terreni agricoli di contrada Siena intestati alla “DiBeca Sas”, che il miope consiglio comunale del Longano ha vincolato a megaparco commerciale. Un’operazione che è oggetto d’indagine della Procura e di un’ispezione della Prefettura e che potrebbe condurre allo scioglimento in extremis del Comune per infiltrazione mafiosa.
Nei primi anni ’90, il Gico della Guardia di Finanza di Firenze attenzionò alcune operazioni sospette del Cattafi. Nella nota informativa del 3 aprile 1996, un paio di passaggi sono dedicati ai rapporti fra Rosario Cattafi, il giudice Cassata e l’immancabile associazione cordafratrina. “Cattafi frequentava circoli e club sia a Milano che a Barcellona, potendo così incrementare il numero delle conoscenze utili”, scrivono gli uomini del Gico. “A Barcellona risultava interessato all’attività della Corda Fratres, il cui rappresentante, Antonio Franco Cassata, risulta rappresentante anche della Ouverture–Associazione Italia-Benelux e del Comitato Organizzativo Premio Letterario Nazionale Bartolo Cattafi”. Più avanti, “riprendendo l’esposizione dei rapporti tra il Cattafi e personaggi delle Istituzioni al fine di poter fornire elementi atti alla individuazione degli informatori del sodalizio”, il Gico ritorna sul magistrato. “Residente a Barcellona nella stessa via del Cattafi”, il dottor Cassata è “responsabile di alcuni circoli e associazioni costituite con dichiarato intento di perseguire scopi culturali”. Infine si segnala che nelle agende del Cattafi comparivano il numero telefonico dell’abitazione privata del magistrato, quello degli uffici giudiziari di Messina dove operava e quello dell’“associazione di cui risulta rappresentante legale…”.
Lo scorso 1 marzo, Rosario Cattafi si è dovuto presentare davanti a due ufficiali del Raggruppamento operativo speciale (Ros) dei Carabinieri per un interrogatorio di oltre tre ore nell’ambito di un’inchiesta della DDA di Messina che lo vedrebbe indagato per associazione mafiosa. “Non si tratterebbe del primo e lungo faccia a faccia tra Cattafi e i carabinieri del Ros”, rivela la Gazzetta del Sud. “In questi mesi ci sarebbero stati altri interrogatori effettuati in gran segreto sempre alla Compagnia carabinieri di Barcellona, per un’inchiesta che praticamente corre parallela al nucleo forte di indagini che il procuratore capo di Messina Guido Lo Forte e i suoi sostituti stanno gestendo sulla geografia mafiosa barcellonese, all’indomani dei clamorosi pentimenti del boss dei Mazzarroti Carmelo Bisognano e del reggente Santo Gullo”.
La modalità investigativa ha però lasciato perplesso più di un osservatore. “Ancora una volta la Procura di Messina riserva i modi più gentili ai vertici della mafia barcellonese”, scrive l’eurodeputata di IdV Sonia Alfano. “In tutti gli altri distretti giudiziari d’Italia gli indagati per mafia vengono arrestati e solo dopo interrogati. Per Cattafi, invece, l’ufficio diretto da Lo Forte ha utilizzato l’inedita procedura, come a voler riconoscere a Cattafi una sorta di riguardo istituzionale. Mi chiedo quale sia la ragione, salvo dover pensare che Cattafi si sia pentito e stia vuotando il sacco, e che quindi a breve ci saranno gli arresti di due magistrati, di esponenti dei servizi segreti e di altri rappresentanti istituzionali”.
“Si rimane sconcertati – ha concluso Sonia Alfano – ad apprendere che la Procura ha delegato l’interrogatorio del pericolosissimo boss, legato a doppio filo a Benedetto Santapaola e ai servizi segreti, a quello stesso Ros che subito dopo l’assassinio di mio padre protesse la latitanza di Santapaola nel barcellonese”. Un’altra brutta storia per questa terra d’intrighi e di misteri.


Barcellona: quel plico giallo al “superpoliziotto”, dov’è finito?
Luciano Mirone
Il covo di Santapaola scoperto da Beppe Alfano. La lettera alla Dia. L’assassinio del giornalista e il ruolo del magistrato Canali. I servizi segreti e la “centralità” nella strage di Capaci.
Veniva al circolo, giocava a carte e veniva preso pure per il culo, un fessacchiotto, mica sapevamo che era mafioso. Una spiacevole sorpresa

Nella primavera del 1992 Giuseppe Gullotti, boss di Barcellona Pozzo di Gotto, si reca a San Giuseppe Jato per consegnare a Giovanni Brusca il telecomando da utilizzare per la strage di Capaci. Nello stesso periodo i Corleonesi incaricano Pietro Rampulla – boss di Mistretta, ma da sempre in stretto contatto con i Barcellonesi – di collocare l’ordigno sotto il viadotto dell’autostrada. Perché i Corleonesi si affidano ai Barcellonesi per un compito così delicato? Evidentemente sanno che a Barcellona, più che altrove, c’è gente specializzata nella costruzione e nell’uso degli esplosivi. Barcellona non è solo una cittadina mafiosa. È un luogo centrale per l’eccidio di Capaci. E qui sono stati nascosti e protetti per parecchio tempo latitanti come Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano.
A Barcellona c’è attualmente un procuratore generale sotto inchiesta (Franco Antonio Cassata), un sostituto procuratore trasferito perché considerato amico dei mafiosi (Olindo Canali), un avvocato ritenuto il trait d’union fra i servizi segreti deviati e Cosa nostra (Rosario Cattafi). E un boss condannato a trent’anni per l’omicidio Alfano (Giuseppe Gullotti).
Per comprendere la “centralità” eversiva di questa città di quarantaseimila abitanti nel messinese, bisogna partire proprio da questi tre nomi: Giuseppe Gullotti, Pietro Rampulla e Rosario Cattafi, attorno ai quali ruotano protettori, fiancheggiatori e affiliati.
A Messina gli ultimi due li ricordano ancora. Negli anni Settanta questi due universitari appartenenti all’estrema destra prendono a colpi di mitra la Casa dello studente, picchiano i “rossi”, stipulano alleanze con la mafia palermitana e reggina e con gente che più tardi risulterà iscritta alla P2.
È il periodo delle bombe, della rivolta “nera” di Reggio Calabria, delle stragi di destra. Nel capoluogo peloritano i tre “ordinovisti” mettono a ferro e fuoco l’università e cominciano ad avere dimestichezza con le armi e con gli esplosivi.
Ma c’è anche – fra quelle file – un altro universitario che Rampulla e Cattafi conoscono bene, si chiama Beppe Alfano, è un non-violento, un integralista. Anche lui conosce bene quei due.
Nello stesso periodo, secondo le dichiarazioni del pentito barcellonese Pino Chiofalo (che negli anni ’90 farà una carneficina di bande rivali), l’allora sostituto Franco Antonio Cassata fa un viaggio in macchina da Barcellona a Milano con lo stesso Chiofalo (giovane di belle speran- ze) e con l’avvocato Franco Bertolone, legale della mafia barcellonese.
Quale sia il motivo che porta un magistrato ad avere rapporti con un personaggio come Chiofalo e con un penalista che difende il “gotha” della mafia locale non è dato sapere.
Quelli che appaiono chiari sono i legami esistenti all’interno del circolo paramassonico Corda fratres. Al quale risultano iscritti lo stesso Cassata, presidente per diversi anni e animatore del sodalizio; l’ex ministro Domenico Nania (oggi vice presidente del Senato); il cugino Candeloro Nania, sindaco di Barcellona; il collega messinese Giuseppe Buzzanca, in compagnia di Giuseppe Gullotti detto “l’avvocaticchio” assurto quasi ai livelli di Riina e Provenzano, e Rosario Cattafi, ritenuto “mandante esterno”, assieme a Silvio Berlusconi e Marcello Dell’Utri (poi prosciolti tutti e tre), della strage di Capaci, nonché trait d’union tra l’ala militare di Cosa nostra, i servizi segreti deviati e i colletti bianchi.
Se su Cattafi il silenzio dei soci della Corda fratres è tombale, su Gullotti si accampano le giustificazioni più pittoresche.
“Tutte coincidenze. Gullotti era iscritto prima che diventasse boss. Quando è stato coinvolto nell’omicidio Alfano lo abbiamo espulso”. Cioè da latitante.
Ma una “informativa riservata” parla della sua pericolosità come esponente di spicco di Cosa nostra ancora prima del delitto Alfano.
Ma già alla fine degli anni Ottanta, “l’avvocaticchio” (con testimone Saro Cattafi) aveva sposato la figlia di don Ciccio Rugolo, boss storico di Barcellona, ucciso dalle bande rivali un paio di anni prima dell’omicidio Alfano.
A prenderne il posto è proprio Gullotti, che si allea con Santapaola ed ordina omicidi, estorsioni e attentati. Con lui la cosca locale fa il salto di qualità. A Barcellona lo sanno tutti.
Solo alla “Corda fratres” non ne sanno niente. Non sa niente il neo laureato iscrittosi “per sistemarsi”, non sa niente il politico, non sa niente Cassata, che di quella zona conosce uomini e cose perché da una vita è alla Procura di Messina, distretto giudiziario dal quale dipende proprio Barcellona, dove lui risiede da quando è nato.
“Veniva al circolo, giocava a carte e veniva preso pure per il culo, un fessacchiotto, mica sapevamo che era mafioso. Una spiacevole sorpresa”.
Già, un fessacchiotto, una spiacevole sorpresa. Del resto, come si possono prendere le distanze da un personaggio del genere se poco tempo prima il partito del senatore Nania (il Movimento sociale italiano) lo aveva candidato in Consiglio comunale espellendo proprio Alfano, che nel frattempo denunciava i misfatti di Barcellona su “La Sicilia”?
E arriviamo alla strage di Capaci. Un periodo strano, sia prima che dopo.
Prima succede che Alfano, mentre è in macchina con la figlia Sonia (oggi parlamentare dell’Italia dei valori), incroci proprio Rosario Cattafi. Dopo le “bravate” universitarie, Cattafi per vent’anni ha vissuto stabilmente a Milano.

A Barcellona s’è visto poco, in Lombardia ha intrecciato ottimi rapporti con l’establishment governativo, ha consolidato i legami con personaggi del calibro di Santapaola, Rampulla e Epaminonda, ed è rimasto coinvolto nella storia delle tangenti dell’autoparco di via Salomone.

“Che ci fa Cattafi a Barcellona?”. Già, che ci fa Cattafi a Barcellona? “Saro non si muove per niente, un motivo deve esserci”. Alfano ha antenne sensibilissime, conosce Cattafi da almeno vent’anni, percepisce che sta per accadere qualcosa.

Da ex militante di estrema destra, il giornalista è uno dei pochi a Barcellona a saper “leggere” il contesto politico-mafioso, a decifrare certi linguaggi. Parla con la gente del “suo” mondo, segue certi movimenti. La presenza di Cattafi lo turba. E lo confida a Sonia.

Tutte supposizioni, certo. Fatto sta che dopo la morte di Falcone i pentiti fanno il nome di Cattafi. Con quello di Silvio Berlusconi e di Marcello Dell’Utri. I collaboratori di giustizia li indicano come mandanti esterni della strage e danno perfino i luoghi delle riunioni segrete.

I magistrati prima lo incriminano, poi lo scagionano, infine decidono (luglio 2000) di sottoporlo a misure di prevenzione antimafia in quanto ritenuto pericoloso: sorveglianza speciale con l’obbligo di soggiorno a Barcellona per 5 anni.

Evidentemente mancano i riscontri oggettivi per spedirlo in carcere, ma il provvedimento dimostra che Alfano non era un visionario.

Poi succede che il giornalista si rechi dal sostituto Olindo Canali – magistrato monzese arrivato da poco a Barcellona, col quale instaura un rapporto di amicizia e di fiducia – e alla presenza di Sonia gli confidi due scoperte clamorose: il nascondiglio segreto di Santapaola a Barcellona e un traffico d’armi che si svolgerebbe nella vicina Portorosa, di cui sarebbe protagonista lo stesso Santapaola.

Santapaola non è un boss qualsiasi. È latitante per l’omicidio Dalla Chiesa, è il mandante dell’assassinio di Giuseppe Fava, ha sulla coscienza un paio di stragi di carabinieri, eppure gode di forti protezioni istituzionali, paradossalmente sono proprio i carabinieri a scortarlo per i suoi spostamenti.
Gente così non è sempre l’antistato. A volte è un pezzo dello Stato.

Nel libro Gli Insabbiati. Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall’indifferenza, Sonia Alfano rivela: “Canali disse a papà che purtroppo, trattandosi di cose molto grosse, non si poteva occupare di Santapaola in quanto i fatti esulavano dalla sua competenza.

Fu lo stesso Pm a consigliare a papà di mettere tutto per iscritto e di inviarlo, mediante un plico giallo, alla Dia di Catania: lo avrebbe ricevuto un superpoliziotto che il magistrato, a suo dire, avrebbe provveduto a informare”.

Un superpoliziotto? E chi? Alfano chiede chiarimenti, ma Canali si limita a usare mezze frasi. A chi deve essere indirizzato il plico? A un Alfano incredulo, il Pm suggerisce: “Metti tutto in una busta gialla e spediscilo alla Dia di Catania. Chi di dovere sa che dovrà consegnarla al superpoliziotto”.

Quindi il magistrato, secondo quanto dichiara Sonia Alfano, consiglia al giornalista di scrivere una lettera anonima e di spedirla ad un destinatario anonimo. Non da Barcellona, ma da Milazzo. Alfano si attiene scrupolosamente alle disposizioni. Che uso viene fatto di quella lettera? Chi l’ha letta? Chi è il fantomatico superpoliziotto?

Che ruolo ha Canali in questa vicenda? Perché, pur sapendo che il cronista corre seri pericoli, non provvede a proteggerne l’incolumità? Nessuna risposta anche in questo caso.

Passano poche settimane e Beppe Alfano viene ucciso. “Dopo il delitto”, dice l’europarlamentare dell’Idv, “la nostra abitazione si riempì di agenti dei servizi segreti che frugarono dappertutto, specie nel computer di papà”.
Agenti dei servizi segreti? E perché, se ufficialmente – come in quei giorni Canali dichiara alla stampa – Alfano è stato ammazzato perché indagava su una storia di tangenti che giravano all’interno dell’Aias, un ente per l’assistenza agli handicappati? I servizi segreti non si scomodano per cose del genere.

Evidentemente c’è dell’altro. E questo “altro” potrebbe essere collegato con la strage di Capaci, con la latitanza di Santapaola a Barcellona, con il traffico d’armi e con certe riunioni di massoneria che si svolgevano nel covo del boss catanese.

Una convergenza d’interessi, di cui il giornalista sarebbe stato al corrente. E, almeno parzialmente, avrebbe informato Canali. E Canali ha informato qualcuno?
Il giorno dopo il quotidiano “La Sicilia” titola: “Morto il professore Alfano”. Il “professore”… non il giornalista antimafioso. Una svista? Dal giorno dopo il tenore cambia, adesso si leggono cronache puntualissime sulle tangenti Aias scoperte da questo “giornalista onestissimo”. Le verità di Canali.
Stavolta “La Sicilia” ha il morto in casa e certe delegittimazioni non sono ammissibili, il caso Fava brucia ancora.
Ad incaricarsi di porre seri dubbi sulla figura della vittima è L’Espresso Sera, foglio pomeridiano dello stesso gruppo editoriale, il quale, nello stesso giorno dei funerali, pubblica in prima pagina: “Siamo sicuri che sia stata la mafia?”.
Come per il delitto Fava
E giù una serie di ipotesi sulla pista passionale generate dalla pistola di piccolo calibro che ha ucciso Alfano, “un’arma che la mafia non usa”. Un film giù visto in occasione del delitto Fava. Anche in questo caso con la “presenza” di Santapaola sul luogo del delitto.
Sonia Alfano intuisce che la situazione è torbida e si rifiuta di farsi interrogare da Canali. “Parlerò solo con il superpoliziotto che ha ricevuto il plico”.
Alcuni giorni dopo, la figlia del cronista viene convocata. “Là dentro c’è la persona con la quale hai chiesto di parlare”, le dice il sostituto.
“In una stanza”, ricorda Sonia, “trovai un signore seduto dietro la scrivania. ‘Si accomodi signorina, mi dica’ ”. Il confronto fra i due è drammatico. “Deve essere lei a dirmi qualcosa, non io. Il signore non pronunciò una sola parola”, ricorda la Alfano.
“Uscii sconvolta, incontrai nuovamente Canali, che mi disse in modo non proprio amichevole: ‘Se fossi in te dimenticherei tutto. E’ una storia troppo grande per te”.
Bisognerà aspettare il pentito Maurizio Avola per avere un quadro più chiaro: “A volere la morte del giornalista ci sono entità di livello superiore”.

Santapaola sta a Barcellona per diverso tempo. Poi sfugge misteriosamente alla cattura, malgrado l’individuazione del nascondiglio da parte degli uomini del Ros. Stessa cosa succede a Bernardo Provenzano nei giorni drammatici delle trattative fra mafia e Stato per fermare le stragi, che nel frattempo stanno insanguinando l’Italia.
Nel 2004 a Viterbo viene trovato morto il giovane urologo Attilio Manca. Ha il corpo pieno di lividi e di sangue, il naso tumefatto. All’epoca è uno dei rari medici italiani ad operare il cancro alla prostata con il sistema della laparoscopia.
L’inchiesta ufficiale parla di suicidio: gli vengono trovati due buchi nel braccio sinistro, ma lui è un mancino puro, con la mano destra non riesce a fare nulla. Nella stanza accanto vengono trovate due siringhe. I familiari chiedono che vengano prese le impronte digitali. Invano.
I magistrati laziali dicono che Attilio è morto per overdose. Ma è stato accertato che il giovane urologo non era tossicodipendente. Per ben tre volte il Pm di Viterbo chiede l’archiviazione e per ben tre volte il Gip la respinge. Adesso siamo alla quarta, da molti mesi si aspetta la risposta del Gip.Il pentito Francesco Pastoia – braccio destro di Provenzano – ha rivelato che ad operare il boss di Corleone di cancro alla prostata sia stato un urologo siciliano. Non ha fatto in tempo a rivelarne il nome perché è morto: suicida anche lui.
Secondo i familiari di Manca, l’unico medico siciliano in grado di fare un intervento del genere era Attilio. Un particolare: il medico era di Barcellona. Dopo il “suicidio”, nel suo appartamento viene rinvenuta un’impronta palmare. È quella del cugino Ugo, un uomo organico alla mafia. Anche lui di è di Barcellona.
P.S.: In chiusura arriva la notizia che il Gip di Viterbo – dopo un anno e mezzo – ha respinto per la quarta volta la richiesta di archiviazione del Pubblico ministero sulla morte di Attilio Manca. Una decisione che evidenzia in modo evidente le lacune investigative che hanno contrassegnato questa storia. Quanto tempo passerà perché la verità venga accertata?



“Mio figlio ucciso dalla mafia. E non solo”
Luciano Mirone
Angela Manca da otto anni lotta per ottenere verità e giustizia per la morte del figlio Attilio



Angela Manca chiede che si indaghi a trecentosessanta gradi su quello strano viaggio che Bernardo Provenzano– sotto il falso nome di Gaspare Troia – compì a Marsiglia fra la primavera e l’autunno del 2003 per operarsi di cancro alla prostata. Vuole che si sveli quella fitta rete di complicità che ha protetto il boss corleonese soprattutto a Barcellona Pozzo di Gotto,nel periodo in cui, travestito da frate, si nascondeva in un convento della zona.
Perché lei, Angela Manca, assieme al marito Gino e all’altro figlio Gianluca, è convinta che la morte di Attilio sia legata proprio a quell’intervento alla prostata effettuato in gran segreto durante la latitanza di “Binnu” Provenzano: o attraverso un intervento per via laparoscopica che Attilio e pochi altri medici in Italia, a quel tempo, erano in grado di fare, o attraverso un’assistenza post operatoria che potrebbe essere avvenuta tra la Sicilia e il Lazio, auspice quella mafia di Barcellonache avrebbe indotto l’urologo a prestare la sua opera per quel signore con l’accento palermitano di cui Attilio avrebbe sconosciuto la vera identità.

Da otto anni il Pubblico ministero di Viterbo, Renzo Petroselli, sostiene che Attilio Manca, trentaquattrenne urologo di fama,all’epoca in servizio all’ospedale “Belcolle” di Viterbo, si sia suicidato con una micidiale overdose di eroina, alcol e tranquillanti. Ma non ha prove. Anzi no, ha due buchi e due siringhe da esibire.

Per ben tre volte ha chiesto l’archiviazione del caso, puntualmente respinta dal Gip, che l’ultima volta – fatto alquanto singolare per un “suicidio” – si è preso un anno e mezzo per decidere. Segno che qualcosa non quadra neanche fra gli stessi magistrati laziali.

Nello scorso gennaio, finalmente, il Giudice per le indagini preliminari, Salvatore Fanti,ha stabilito che le investigazioni devono continuare, da ora in poi non più concentrate sulla parola suicidio, ma sulla parola overdose. Dunque,otto anni dopo, Attilio Manca non è più un suicida-drogato, ma un drogato e basta.

Adesso però ci sono sei indagati. Che secondo i magistrati viterbesi, avrebbero fatto il semplice lavoro di un pusher. Cinque (fra cui Ugo Manca, cugino di Attilio)sono di Barcellona Pozzo di Gotto, una di Roma. Sarebbero stati loro a fornire l’eroina per l’overdose fatale.

Peccato che non ci siano prove neanche sulla tossicodipendenza del giovane medico: dagli esami, dalla ricognizione cadaverica, dall’autopsia e dalle numerose testimonianze rilasciate da colleghi, infermieri, amici e parenti è emerso con chiarezza che Attilio non era un tossicodipendente né frequente né occasionale. E allora?

Per capire le battaglie di questa madre che somiglia tanto ad altre madri eroiche della storia dell’antimafia, bisogna raccontare la scena della morte e le grossolane omissioni che ne sono seguite.

Bisogna riportarsi alla mattina del 12 febbraio 2004, quando nell’appartamento di Viterbo viene trovato morto Attilio Manca. È adagiato sul piumone del letto matrimoniale, per terra c’è una larga  chiazza di sangue, una parte del parquet è divelta.

Il giovane urologo – che dorme abitualmente in pigiama – indossa soltanto una maglietta, per il resto è nudo. Non sono mai state ritrovate le mutande e i calzini (neanche nel box adibito alla raccolta degli indumenti sporchi). Appesi a qualche metro di distanza una giacca, una camicia e una cravatta. Su un tavolo – fatto assolutamente inusuale, secondo i familiari– sono riposti alcuni strumenti per fare le operazioni. In cucina vengono trovate due siringhe con il tappo riposto negli aghi.

Ma la scena raccapricciante riguarda il corpo pieno di sangue. Il medico ha il setto nasale deviato, il volto tumefatto, le labbra gonfie e presenta due buchi al braccio sinistro.
 
Il dottore del 118 fa un esame esterno sul cadavere e scrive che il cadavere è pieno di lividi, soprattutto gli arti superiori ed inferiori, come se qualcosa (una corda? dei lacci?) avesse fatto pressione su essi.

Prima contraddizione. Nel referto dell’autopsia, eseguito dalla dottoressa Ranaletta, moglie del prof. Rizzotto, primario del reparto di Urologia dell’ospedale di Viterbo, di ecchimosi non si parla. Contrariamente a quanto documentato perfino dalle foto, non si parla neanche di setto nasale deviato e di volto tumefatto.

Seconda contraddizione. Attilio Manca era un mancino puro, eseguiva qualsiasi cosa con la mano sinistra. Perché quei due buchi sul braccio sinistro?
Terza contraddizione. Quei buchi se è fatti lui? E quelle siringhe le ha utilizzate lui? Perché gli investigatori scartano fin dalle prime ore la tesi dell’omicidio camuffato da suicidio? Perché non fanno rilevare le eventuali impronte digitali lasciate sulle siringhe, malgrado l’insistenza dell’avvocato Fabio Repici, legale dei Manca? Da otto anni quelle siringhe sono sigillate dentro una busta di cellophane e soltanto adesso il Gip ha disposto una perizia.

Quinta contraddizione. Perché non si trovano le mutande e i calzini di Attilio?
Sesta contraddizione. Nell’appartamento dell’urologo, la Polizia scientifica rileva cinque impronte digitali. Quattro “anonime” (dunque appartenenti a gente estranea alle amicizie di Attilio), ed una appartenente al cugino Ugo Manca. Quest’ultima viene trovata su una mattonella del bagno, in un posto dove, per via del vapore acqueo, secondo pareri di autorevoli esperti, le impronte si distruggono dopo qualche ora. La madre di Attilio giura di avere pulito con cura soprattutto il bagno poche settimane prima della morte del figlio, durante le vacanze di Natale.

Ugo invece spiega che è stato in quell’abitazione oltre un mese prima – ospite del cugino –per un intervento di varicocele. Dopodiché, sostiene, non è più entrato nella casa di Attilio. Delle due l’una: o l’impronta è vecchia di oltre un mese o è recentissima.

Settima contraddizione. Perché, dopo il ritrovamento del cadavere, Ugo si precipita a Viterbo? Perché si reca immediatamente dal Pubblico ministero Petroselli per chiedergli il dissequestro dell’appartamento? Lui dice che deve prendere gli abiti con i quali bisogna vestire la salma. Chi l’ha incaricato? Nessuno, dicono i genitori di Attilio. Gianluca addirittura lo redarguisce con durezza dal prendere iniziative del genere.

Nelle stesse ore, anche da Barcellona, qualcuno si affretta a chiedere il dissequestro dell’appartamento. A telefonare ad un alto magistrato di Roma è la madre di Ugo Manca. A che titolo? Chi l’ha incaricata? Anche in questo caso i genitori di Attilio smentiscono. Chi ha consigliato alla donna il nome del magistrato romano? Alla fine Gianluca evita il dissequestro dell’appartamento e compra gli abiti per rivestire la salma.

Ottava contraddizione. La presenza a Viterbo, nei giorni che precedono la morte di Attilio, di un altro affiliato alla mafia barcellonese, Angelo Porcino.Secondo il pentito Carmelo Bisognano, Porcino è un boss di primo piano della cosca barcellonese. Perché è andato nella città laziale poco tempo prima della morte dell’urologo? Attilio Manca incontra Porcino? Non si sa neanche questo. Ufficialmente risulta che Porcino – titolare di una sala di video giochi – non possiede un telefono, né fisso né cellulare.
Nona contraddizione. “Ci sono episodi incredibili”, dice la madre dell’urologo, “non tenuti assolutamente in considerazione: mentre Ugo Manca, nel periodo della morte di Attilio, si trova ufficialmente a Bologna, il suo cellulare risulta a Bagheria. Anche su questo gli inquirenti non hanno fornito spiegazioni”.
Fin dalle prime ore, dunque, emergono delle situazioni particolarmente anomale, non proprio semplici coincidenze.

“Una volta mi sono arrabbiata col Pubblico ministero. Gli ho gridato: ‘Ma lei si rende conto che sta insabbiando le indagini?’. Ha detto che mi avrebbe querelato, non l’ha fatto”.

Ma per capire meglio questa storia, bisogna recarsi nel luogo dove la famiglia di Attilio Manca vive da sempre, Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, grosso crocevia del traffico di armi e di droga, punto di coagulo tra Cosa nostra, politica, massoneria e servizi segreti deviati.

Angela Manca è una donna dolcissima. Vive col marito Gino in un palazzetto tardo ottocentesco ubicato nel cuore di questo paesone di cinquantamila abitanti, al centro di in triangolo urbano che comprende il circolo “Corda fratres”, il municipio e l’abitazione del boss Giuseppe Gullotti.

La “Corda fratres” non è il classico circolo di paese dove si gioca a carte e ogni tanto si organizza una conferenza. È un sodalizio esclusivo che “serve” a un sacco di gente per fare carriera. E fin qui normale amministrazione, o quasi.
La cosa diventa paradossale se all’interno dell’associazione ci trovi iscritto un potente capomafia come Gullotti e un personaggio inquietante come Rosario Cattafi, accusato di essere il mandante esterno della strage di Capaci, poi prosciolto, assieme a Berlusconi e Dell’Utri, ma sottoposto a misure di sicurezza per cinque anni con l’obbligo di soggiorno a Barcellona. Due tipiche hanno diviso quelle stanze con l’ex ministro Domenico Nania, con il cugino Candeloro Nania, sindaco di Barcellona; con il presidente della Provincia Giuseppe Buzzanca, e con il Procuratore generale di Messina Franco Cassata, vero animatore della “Corda”, da sempre residente a Barcellona, e attualmente sotto inchiesta presso la Procura di Reggio Calabria per concorso esterno in associazione mafiosa e per avere scritto e diffuso un dossier anonimo pieno di veleni contro il professore universitario Adolfo Parmaliana, suicidatosi per disperazione dopo aver denunciato il verminaio che da anni infesta Barcellona.

Il municipio si affaccia sul torrente Longano, un corso d’acqua che i politici locali, alcuni anni fa, hanno pensato bene a coprire con una striscia d’asfalto. Nello scorso novembre il torrente è esondato con conseguenze devastanti. Ma questo edificio è famoso, secondo una relazione della Commissione prefettizia, “per le collusioni fra alcuni assessori e consiglieri comunali del Pdl con Cosa nostra”. Eppure né il governo di centrodestra né quello di centrosinistra si sono permessi di sciogliere il Consiglio comunale e la Giunta, specie dopo che è stata approvata all’unanimità la costruzione di un mega Parco commerciale proprio sui terreni di Saro Cattafi.
Anche la casa del boss Gullotti è a pochi metri dall’appartamento dei Manca.

Qui il capomafia ha ospitato Nitto Santapaola e Bernardo Provenzano, qui assieme ai boss corleonesi ha disegnato la strategia eversiva più devastante del dopoguerra: la strage di Capaci eil delitto del giornalista Beppe Alfano.
Si trovano proprio a due passi dalla casa dei Manca le “centrali” del potere barcellonese, non cose di poco conto, ma entità collegate fra loro in maniera spudoratamente chiara, con ramificazioni lontane. Come a dimostrare che in Sicilia bene e male coesistono nel giro di pochi metri, di pochi centimetri addirittura.

Il palazzetto ospita due rami della dinastia Manca: in un appartamento vive la famiglia di Gino, in un altro la famiglia del fratello Gaetano.
Dal 2004 queste due famiglie, da sempre ai ferri corti, sono in guerra: da quando Ugo Manca, figlio di Gaetano,è implicato nella morte dell’urologo.
Non è uno qualsiasi Ugo Manca: temperamento piuttosto violento, in gioventù è stato vicino ai gruppi di estrema destra, risulta organico alla cosca barcellonese. Condannato in primo grado al processo “Mare nostrum” per traffico di droga, è stato assolto in appello.

Anche lui, dicono i bene informati, è amico di famiglia del Procuratore Cassata. “Il quale”, secondo l’avvocato Repici, “dopo l’assoluzione di Ugo in appello, per un banale vizio di forma non ha presentato neanche ricorso in Cassazione”.

Angela Manca è seduta nelsalotto di casa. Ha sessantasette anni ed è una docente di biologia in pensione, il marito, dieci anni più grande di lei,è un ex insegnante di lingue. Gianluca fa l’avvocato e di anni ne ha quaranta. Una famiglia della media borghesia siciliana che prima della morte di Attilio viveva una vita tranquilla, senza sapere cosa fosse la mafia.
 
Dal 12 febbraio 2004 è cambiato tutto.  

È una donna dolce e perbene, lucida anche. Determinata ad andare fino in fondo. Anche se è pervasa da un dolore indicibile, pesa le parole e non va mai sopra le righe. Adesso lei, Gino e Gianluca vivono solo per ottenere verità e giustizia.

Da quando accusala mafia, la famiglia Manca è rimasta sola. Angela e Gianluca appaiono i più energici, Gino il più sensibile, ma quando c’è da organizzare qualcosa diventano una cosa sola.

In certi ambienti li considerano dei pazzi, dei visionari, dei calunniatori. Loro vanno avanti lo stesso, anche perché nel frattempo attorno a loro si è creato un movimento spontaneo che chiede, anche mediante facebook,che non vengano chiuse le indagini sulla morte di Attilio. “Una cosa bellissima che ci fa sentire meno soli. Forse è stato grazie a queste pressioni che il Gip ha deciso di respingere l’ultima richiesta di archiviazione”.

Da alcuni mesi i genitori dell’urologo sono alle prese con l’ennesimo problema: un gas urticante e nocivo (secondo i carabinieri e i Vigili del fuoco), che qualcuno immette nella loro abitazione durante le ore notturne. “Evidentemente qualcuno vuole che scappiamo, ma si sbaglia: resteremo qui perché questa è la casa di Attilio”.

Tanti i ricordi che si concentrano, tante le sensazioni, tante le emozioni. Per un po’ tocchiamo la corda dei sentimenti. Attilio che primeggia a scuola. Attilio che traduce senza vocabolario le versioni di latino e di greco.
Attilio che a quindici anni è un campioncino di basket. Attilio che vuole fare informatica. Attilio che si iscrive in Medicina all’Università cattolica del Sacro cuore di Roma. Attilio che racconta le barzellette su Totti. Attilio che, concluso il tirocinio con il prof. Gerardo Ronzoni, un luminare nel campo dell’urologia, vuole trasferirsi a Messina.

“Intorno al 2002 aveva saputo che c’era un posto. Aveva presentato la domanda. Bonariamente gli dissero: ‘E’ inutile, c’è il cugino di un senatore barcellonese, il posto è suo’. A quel punto optò per Viterbo”.

Poi Angela mette insieme i fatti, li ordina e li elabora.

“La morte di Attilio”, dice, “è avvenuta in una regione dove la mafia è sbarcata da alcuni anni e la massoneria comanda indisturbata grazie ai potenti collegamenti di cui dispone”.

“All’inizio non ci fecero vedere neanche il cadavere. È meglio che lo ricordiate com’era, spiegarono garbatamente il prof. Rizzotto e mio nipote Ugo Manca. All’inizio ci dissero che era morto per un aneurisma. Quando ci parlarono di suicidio, capii che lo avevano ammazzato. Addirittura sostennero che il setto nasale era stato deviato dal telecomando poggiato sul letto, dopo che Attilio, stordito dall’overdose, c’era andato a finire con la faccia. Dalle foto, invece, si vede il telecomando sotto il braccio. E poi, come può un telecomando poggiato su un piumone, fracassare la faccia di un uomo?”.
 
“Attilio non voleva neanche il vino a tavola durante la settimana: ‘Devo essere sobrio, quando vado in sala operatoria devo essere tranquillo. Come si poteva fare l’eroina e a quei livelli?”.

“Mi chiedo perché è stata chiamata la moglie del prof. Rizzotto a fare l’autopsia. Non era la persona adatta: conosceva bene Attilio,ci sono delle foto di una festa da ballo in cui addirittura ballano insieme. E poi era la moglie di un primario alle cui dipendenze lavorava mio figlio. Il prof. Rizzotto
era stato interrogato come testimone, non era giusto che fosse proprio sua moglie a fare l’autopsia. Un’autopsia condotta in modo veloce, sommario e approssimativo. I miei tre fratelli, che aspettavano l’esito dell’esame autoptico, possono testimoniare: il professorRizzotto passeggiava dietro la porta dove la moglie faceva l’autopsia, Ugo Manca pure. Dicevano di fare presto perché si doveva trasferire la salma in Sicilia. Manoi non avevamo fatto alcuna pressione”.

Perché insistete sulla pista che porta a Provenzano? “Una settimana dopo, mentre siamo al cimitero, si presenta un signore, Vittorio Coppolino, papà di Lelio Coppolino, un intimo amico di Attilio. Ci ferma e ci dice: ‘Siete sicuri che vostro figlio non sia stato ammazzato perché ha visitato Bernardo Provenzano?’. Non avevo idea di chi fosse Provenzano, e pensai: ‘Ma questo che dice?’”.

“L’ultimo Natale (quello del 2003, un mese prima della sua morte) Attilio lo aveva passato con Lelio.Sono convinta che in quel periodo Attilio avesse confidato alcuni segreti su Provenzano, comprese le complicità barcellonesi, a Lelio Coppolino e a qualche amico vicino a Ugo Manca”.

“Dopo un anno incontro nuovamente il papà di Lelio: ‘Hai visto che avevo ragione?La Gazzetta del Sud parla dell’operazione di Provenzano’. Mi porta il giornale, ma stranamente manca la pagina che mi interessa. Gli telefono: ‘Vittorio, perché mi hai dato il giornale con un foglio mancante?’. E lui: ‘L’ho portato a Lelio, l’avrà strappata per accendere il fuoco’. Recupero il quotidiano e leggo: il pentito Francesco Pastoia, ex braccio destro di Provenzano, dichiara: ‘Un urologo siciliano ha visitato Bernardo Provenzano nel suo rifugio’. Da quel momento mi si sono aperti scenari del tutto nuovi”.

“Nei giorni che precedono la sua morte, Attilio è angustiato da qualcosa, specie dopo aver sentito al telefono gente di Barcellona.Lo affermano tutti i testimoni. Due giorni prima fa uno strano viaggio a Roma, probabilmente per incontrare qualcuno. Parla al telefono con un’infermiera: è strano, spaventato: ‘Attilio, ma che hai?’. ‘Un problema’. ‘Non ti preoccupare, domani è un altro giorno’. Nel pomeriggio ha un appuntamento con il prof. Ronzoni, il suo secondo padre, e non si presenta. La sera, a Viterbo, ha una cena di lavoro con una Casa farmaceutica e non si presenta neanche li”.

“Ma il mistero si infittisce nelle ore successive. Alle undici di sera chiamiamo ma non risponde. L’indomani mattina alle nove telefona, ma senza quell’affettuosità di sempre: ‘Mamma, mi dovete fare aggiustare la moto che è nella casa al mare di Terme Vigliatore’. ‘Attilio, siamo a febbraio’. “Me la dovete fare aggiustare’. Chiudo e mi giro verso mio marito: ‘Attilio sta diventando acido’. Da qualche giorno mi rispondeva così, come se volesse che io capissi le sue preoccupazioni. Dopo la sua morte, abbiamo portato la moto dal meccanico: era in ottimo stato. Attilio voleva mandare un messaggio, forse un riferimento alla località di Terme Vigliatore, dove Provenzano è stato nascosto per diverso tempo. Anche questa telefonata non esiste nei tabulati della Polizia. Nelle ore successive lo abbiamo chiamato più volte, il telefono suonava ma lui non rispondeva. Questo mi fa presumere che fosse in ostaggio. L’hanno portato in qualche posto? È andato a visitare Provenzano in qualche località segreta? Perché quegli strumenti di lavoro in camera da letto? Li ha adoperati o li doveva adoperare?”.

Fonte degli articoli:


a cura del Comitato Cittadino Isola Pulita Isola delle Femmine


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